“Prima dov’ero” è il titolo del docufilm del regista Mauro Maugeri, realizzato per il CSV San Nicola di Bari. È la storia di un mondo in cui si immagina che il volontariato abbia smesso di esistere. Tra tutte le distopie, forse è quella tra le più inquietanti, quella di un mondo in cui non c’è nessuno più che si occupa delle persone più fragili.
“Questa storia non è vera” si precisa nei titoli di coda del film. Ma tante cose fanno pensare che questa storia vera non lo è “ancora” e che tale potrebbe diventare molto presto. Negli ultimi dieci anni il Terzo settore ha perso un milione di volontari.
«La voce fuori campo che accompagna le immagini» spiega sul mensile Vita Emiliano Moccia a proposito del film, «apre il giro di interviste ai volontari e alle volontarie che nel corso degli anni hanno dedicato parte del loro tempo per aiutare gli altri attraverso le attività delle loro associazioni. Ma ormai anche l’ultima associazione di volontariato ha chiuso per sempre. Era l’unica rimasta in Italia. Sopravviveva a Bari fino a dieci anni fa. Adesso, però, è tutto finito».
Le cause di tutto questo – ripetiamo: non ancora realmente accaduto – sarebbero diverse. Certamente, il periodo del Covid ha messo a dura prova questa realtà. Ma nel film si insiste anche su altro. Per esempio, sulla mancanza di comunicazione; e questo fa venir meno la capacità di educare a gesti di carità. «Ci siamo confinati in una stanza con i cellulari» dice una voce, «con i computer, senza più chiedere all’altro “come stai?”, “cosa pensi?”»
Tutta la vita, pericolosamente, si svolge purtroppo nella sfera dell’individualità. Sta venendo meno rapidamente quella responsabilità che si avvertiva un tempo verso l’impegno sociale. Sta venendo meno quell’aspetto essenziale dell’esistenza che è la dimensione sociale. Eppure, fa notare qualcuno, altrettanto rapidamente si potrebbe recuperare il tempo perduto. Se si riuscisse a trasmettere, come dice una volontaria, «la bellezza di quello che abbiamo vissuto».
È la bellezza di scoprire, in un contesto culturale dominato da un freddo individualismo, di appartenere a qualcuno. Di scoprire di non essere soli. E a sentirsi soli non sono soltanto le persone fragili ma anche chi dovrebbe sostenerli, sole sono anche quelle persone che non hanno qualcuno da amare. Perché è questo che anima la carità.
«C’è una difficoltà a tutti i livelli, anche nel volontariato» dice Rosa Franco, l’infaticabile presidente del CSV barese, in una dichiarazione allo stesso mensile Vita, «a vivere relazioni e sentire che l’altro è parte di me. Ė un problema educativo, non soltanto legato alla famiglia, che ha preso il sopravvento sulla comunicazione verbale».
Il volontariato fa fatica e l’appartenenza non la si sente più come prima. Ma, paradossalmente, non si fa fatica per la fatica – passi il gioco di parole. Per la presidente Rosa Franco la fatica scaturisce dalla mancanza di consapevolezza di ciò che costituisce la natura umana. E cioè, come dice, che «noi nasciamo come relazioni». Sono proprio queste relazioni, questi incontri che danno un significato e che rendono entusiasmante l’avventura della vita.
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