In questa fase storica il ricordo della Resistenza sembra affievolito se non addirittura appare una voglia di dimenticarlo sminuendo la portata storica degli eventi che l’hanno generato ed allo stesso tempo svilendo anche il bagaglio ideale fissato nella Costituzione che è scaturita proprio da quegli eventi luttuosi. Questa verità storica, ancor di più oggi, deve essere salvaguardata e ricomposta con il lavoro storiografico allo scopo di dare giusta memoria alle tante vite spezzate che hanno lasciato in eredità un Paese libero e democratico. Il ricordo della riconquistata dignità di un popolo affranto dalla dittatura ultra ventennale del fascismo, a 79 anni da quel 25 aprile del 1945, non deve far abbassare la guardia perché, sotto forme diverse, quel passato potrebbe ritornare. La Costituzione è lì a ricordarlo.
Ad esempio, le proposte del premierato (che abolirebbe quella pluralità di voci necessaria per il dialogo) e della autonomia differenziata (che creerebbe un’ulteriore divisione nazionale), sono minacce che incombono sul presente e sul futuro del Paese. E’ a rischio la tenuta dell’organizzazione territoriale dello Stato, ma anche la configurazione complessiva dello stato di diritto e il principio di uguaglianza. Le cosiddette riforme, passate e annunciate, hanno costituito e costituiscono i più gravi tentativi di rovesciamento dell’assetto costituzionale vigente, diminuendo le risorse necessarie a concedere i diritti costituzionali accentuandone le disuguaglianze territoriali.
Sono ormai decenni che si tenta di stravolgere la Costituzione o di non applicarla; l’esplosione della povertà è la più evidente conseguenza (dal rapporto 2023 della Caritas Italiana emergono 5,6 milioni di cittadini in povertà assoluta). Anche la Chiesa è contro l’autonomia differenziata. Infatti, così ha risposto monsignor Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, alle domande dei giornalisti sull’autonomia differenziata, durante la conferenza stampa di chiusura del Consiglio episcopale permanente, svoltosi a Roma nel marzo scorso: “C’è preoccupazione e perplessità tra i vescovi per un allargamento delle differenze che possono far cadere in un particolarismo istituzionale”.
Nel tempo numerosi sono stati i tentativi di modifica della Costituzione, tutti o quasi finiti nel vuoto. La riforma del Titolo V nel 2001, voluta dal governo Amato, e il taglio al numero di parlamentari, avviato dal governo Conte I e poi Conte 2, si sono dimostrati entrambi un grosso errore. Altro esempio è dato dalla riforma Berlusconi/Bossi del 2006 e dalla riforma Renzi/Boschi del 2016 che furono bocciate dal popolo. Resta l’auspicio che i due provvedimenti prima accennati, che di fatto intaccano la Costituzione, non siano sottratti a referendum popolare che affermerebbero il vero giudizio del popolo italiano.
Purtroppo, debolissima è la percezione del pericolo in atto. E anche là dove la consapevolezza esiste, non di rado a dominare sono lo scoramento e la rassegnazione. Per tutto questo, il 25 aprile “Festa della Liberazione” dal nazifascismo, non è una commemorazione o una celebrazione fine a se stessa, un giorno qualunque, è il ricordo della storia di un Paese che si è liberato da una tirannia feroce, che ha provocato il più grande genocidio dell’umanità, ed è importante affinché la memoria storica venga tramandata alle nuove generazioni, per difendere libertà e democrazia.
E’ giusto anche celebrare questo giorno attraverso il ricordo di alcune figure che hanno vissuto quel triste e tremendo periodo. E’ giusto farlo, affinché la loro azione e il loro pensiero non vadano dimenticati e ci aiutino ad essere vigili perché tutto ciò che è accaduto non accada più.
Carlo Levi, un personaggio a noi vicino, fu arrestato più volte e, nel 1935, venne condannato a tre anni di confino da scontare nel piccolo paese lucano di Grassano, in provincia di Matera. Poi trasferito ad Aliano, in cui Levi resterà fino al maggio del 1936. L’ostilità di Levi al fascismo prendeva le mosse dalle peculiarità proprie dell’arte fascista, ritenuta dal pittore torinese la forma visibile dell’oppressione e della censura artistica del regime a cui Levi opponeva invece una piena libertà di espressione. Nel libro “Paura della Libertà” – Einaudi 1946 – scriveva: “La paura della libertà è il sentimento che ha generato il fascismo. Per chi ha l’animo di un servo, la sola pace, la sola felicità è nell’avere un padrone e nulla è più faticoso e veramente spaventoso dell’esercizio della libertà”. Scriveva, inoltre: “L’avvenuta liberazione, la fine dell’oppressione, tuttavia, non è ancora la libertà. Perché si dia libertà, occorre partecipare, praticare un impegno pubblico come disponibilità a prestare il proprio tempo per la costruzione di un futuro condiviso”.
Come non sottolineare e restituire alla memoria storica il ruolo dei circoli dell’Azione Cattolica, l’apporto di coloro che si ispiravano a valori spirituali trasmessi soprattutto dalle encicliche papali durante il regime fascista. Associazione che a livello nazionale vide cadere 1279 soci e 202 assistenti e centinaia furono le medaglie d’oro al valore di soci e assistenti.
La Resistenza non è stata una lotta di soli uomini, le donne hanno avuto un ruolo altrettanto determinante. Purtroppo se ne parla poco allora è il caso, in questo 25 aprile del 2024, ricordarne alcune.
Dal sito 1 donna al giorno
Francesca Del Rio, nome di battaglia Mimma, con il ruolo di staffetta della 144esima Brigata Garibaldi. Catturata dai nazisti, fu sottoposta a torture, sevizie e mutilazioni nella caserma di Ciano d’Enza. Con enorme coraggio non disse mai i nomi dei compagni partigiani. In modo rocambolesco riuscì a fuggire e a ricongiungersi con i partigiani. E’ morta nel 2008, gli è stata conferita dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella la medaglia d’oro al merito civile come “mirabile esempio di eccezionale coraggio e di straordinario impegno per i valori della libertà e della democrazia”.
Mirella Alloisio (96 anni), aveva 17 anni quando si unì alla lotta partigiana e diventò la responsabile della segreteria operativa clandestina del Cln Liguria, Croce di Guerra al Valor Militare.
Francesca Laura Wronowski, partigiana, morta nel 2023, nipote di Giacomo Matteotti, insignita dell’Ordine al Merito della Repubblica con il grado onorifico di Commendatore. Di carattere molto forte, ha sempre ricevuto il massimo rispetto da tutti i combattenti di Giustizia e Libertà con i quali ha condiviso la lotta antifascista e antinazista. Ha partecipato ad azioni militari, come la liberazione dei prigionieri ebrei dal campo di Calvari, nell’entroterra di Chiavari, dove operava Giustizia e Libertà. Prima di morire dichiarò: “Il fascismo è quindi sempre vivo nella società contemporanea, e perciò deve essere altrettanto vivo l’antifascismo”.
Secondo i calcoli dell’Anpi le partigiane “combattenti” furono 35mila, altre 20mila ebbero funzioni di supporto. Tra loro ci furono 16 medaglie d’oro e 17 medaglie d’argento al valor militare, 512 commissarie di guerra. Oltre 4600 furono arrestate, torturate, mutilate e condannate dai tribunali fascisti.
Per concludere, serve ancora ricordare, perché è giusto sottolinearlo, l’apporto del mondo cattolico nella Resistenza, documentato nel saggio “Chiesa, mondo cattolico e società civile durante la Resistenza. Seconda guerra mondiale” (di Luigi Fiorani, Edizioni di Storia e Letteratura, 2009): “Padre Fiorello Piersanti, a Montesacro, aprì le porte della parrocchia per accogliere giovani legati al Partito d’Azione, in contatto con alcuni ebrei. Mentre don Luigi Manazza, a Valle Aurelia, con i suoi parrocchiani e un gruppo di residenti, trasformò alcune fornaci spente della zona in rifugio per antifascisti ed ebrei indirizzando i perseguitati “per la razza” alla Casa Don Guanella presso Sondrio, un posto dal quale con relativa facilità si poteva riparare in Svizzera. Don Ferdinando Volpino è stato un esempio di particolare “resistenza”: a Donna Olimpia aprì la canonica a riunioni clandestine, ospitando una settantina di ebrei nello scantinato della chiesa, destinato anche a deposito di armi per le formazioni partigiane”.
Tra le tante storie, raccontate nelle oltre cinquecento pagine del volume, viene, inoltre, evidenziato che le parrocchie, oltre l’ospitalità o il sostegno economico, erano impegnate nella ricerca di espedienti per evitare le leggi razziali e di conseguenza le deportazioni nei campi di sterminio. Il 25 aprile non è e non sarà mai un giorno qualunque. Oggi come allora è necessario essere in campo per una società libera, giusta, solidale e per il rispetto e l’applicazione della Costituzione italiana.
Dal sito Fanpage.it
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