La Cattedrale di Matera compie 750 anni
“Mille ducentus erat annus septuagesimus dum fuit completa domus spectamine læta” – correva l’anno 1270 quando, bello nell’aspetto, fu completato questo duomo – testimonia un’iscrizione sull’architrave della porticina che dà accesso al campanile, mentre più fonti, tra cui la “Descrizione della città di Matera” del can. D. N. Nelli, citano la data del 24 ottobre, che si conviene considerare sia come data di termine lavori che di dedicazione delle nostra Cattedrale.
Sono passati 750 anni: un compleanno a ‘cifra tonda’, tappa epocale, occasione di riflessione su cosa rappresenti la Cattedrale – sede della cattedra vescovile – e sul senso dell’essere Diocesi: «La festa della casa di preghiera è la festa della comunità. Questo edificio è divenuto la casa del nostro culto. Ma noi stessi siamo ‘casa di Dio’», ha detto l’Arcivescovo Mons. Antonio G. Caiazzo citando S. Agostino all’inizio dell’omelia.
Splendeva di luci e colori il nostro duomo la sera del 24 ottobre, frutto dell’ultimo restauro durato ben 13 anni. In sintonia con la bellezza della chiesa è stata la bella liturgia eucaristica presieduta da mons. Caiazzo e concelebrata dai sacerdoti delegati al Sinodo, curata armoniosamente in tutti i dettagli, con letture, formulario e preghiere proprie dell’anniversario della dedicazione, animata dal coro dei “Cantori Materani” e partecipata, in ragione delle misure preventive da Covid-19, da una rappresentanza della Diocesi: oltre alle autorità civili, i delegati al primo Sinodo della Chiesa di Matera – Irsina che proprio in quel giorno si concludeva. «Migliaia di nuovi figli sono rinati nello Spirito dal fonte battesimale», di questa cattedrale, ha detto il vescovo nell’omelia. È facile pensare a quanti milioni di uomini hanno varcato l’ingresso della nostra “domus” in preghiera in questi tre quarti di millennio e forse qui hanno ottenuto una grazia, hanno vissuto un momento di conversione e hanno compiuto serie revisioni o scelte di vita. E quante miriadi di visitatori, attratti dall’arte sublime che questo Duomo racchiude, spaziando dal romanico pugliese dell’esterno al barocco dell’interno, passando per il rinascimentale presepe di Altobello Persio, sino alla tela “La trasfigurazione” del maestro Massimiliano Ferragina, realizzata per l’occasione. “Quanta generosità del popolo per realizzare il nostro duomo”, come ci ha ricordato un drappo esposto con la scritta “A divozione del popolo” e, come si dice, vuol significare un capitello che raffigura i rappresentati delle classi sociali del tempo! Quanti uomini santi vi avranno fatto visita: tanti a noi sconosciuti, accanto all’arcinoto S. Giovanni Paolo II che vi entrò il 27 aprile 1991! “E come il fiume – dall’acqua sempre più alta – che scaturisce dalle fondamenta dal tempio, di cui parlava la prima lettura, anche noi – ha sottolineato il vescovo nell’omelia – siamo chiamati ad uscire dalla nostra Cattedrale e, come fiumi di acqua viva, a riversarci per le strade della nostra città e sino ai paesini della Diocesi, per andare incontro a chi soffre, a donne e bambini violati, al vuoto di giovani e anziani, stemperando l’amarezza di quelle acque che scorrono malate nella nostra terra. E così saremo autori delle belle pagine di una nuova storia che si svolgerà nei prossimi decenni e secoli all’ombra e tra le mura della nostra bella Cattedrale”.
Per i 750 anni della dedicazione, la Basilica Cattedrale si è arricchita di una nuova opera d’arte, “La trasfigurazione”, acrilico su tela (100 x 120 cm), opera del maestro Massimiliano Ferragina (Catanzaro, 1977), teologo e filosofo, docente di religione, scrittore e voce radiofonica. Una nuova interpretazione della Trasfigurazione: partecipi non sono solo Pietro, Giacomo e Giovanni, come ci raccontano i Vangeli sinottici, ma almeno sette persone: tra essi l’artista, in ultimo piano, così da vedere gli altri di spalle. Evidente la corporeità delle immagini: l’artista ama sottolineare l’importanza teologica del corpo. La tela potrebbe costituire la prima opera di una sezione di arte contemporanea del Museo Diocesano. L’opera è stata collocata nella Cappella della Madonna di Costantinopoli – un tempo la cappella dei nobili – che osserva gli stessi orari di apertura della Cattedrale.
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