St. Patrick’s day. Il missionario vescovo patrono d’Irlanda oggi festeggiato in tutto il mondo

Mentre molti italiani oggi ricordano l’anniversario dell’Unità d’Italia, proclamata nel Parlamento savoiardo riunito a Torino il 17 marzo 1861, l’Irlanda sta festeggiando il suo patrono: Patrizio, monaco e vescovo che nell’isola pagana dei celti e degli scoti portò il cristianesimo. E festeggiano Patrizio anche in Australia, in tante città degli Stati Uniti come Chicago dove l’omonimo fiume viene tinto di verde, a ricordo della verde isola gaelica, e in numerose località dove vivono più o meno ampie percentuali di irlandesi.

“Sono Patrizio, prima del battesimo Maewyin Succat, e sono nato nel 385 in Britannia, in un paese dal nome metà inglese, Bannhaven, e metà latino, Taberniae, nella provincia che voi chiamate Scozia, da una nobile famiglia cattolica romana. Mio padre, il diacono Calpurnio, era latifondista. E mio nonno era prete: sì ai tempi i preti si sposavano e avevano figli… e nipoti!

A sedici anni, mentre ero nei campi di mio padre, dei pirati mi rapirono e mi vendettero come schiavo di un re dell’isola accanto.

Arrivato in Irlanda, ogni giorno portavo al pascolo il bestiame, e pregavo spesso nella giornata; fu allora che l’amore e il timore di Dio invasero sempre più il mio cuore, la mia fede crebbe e il mio spirito era portato a far circa cento preghiere al giorno e quasi altrettanto durante la notte, perché allora il mio spirito era pieno di ardore

Dalle “Confessiones” di S. Patrizio

Così, ebbi modo di conoscere la cultura irlandese, l’organizzazione tribale della società e il rispetto che regolava i rapporti tra le famiglie di questa terra in cui vigeva il paganesimo, non erano stati aboliti i sacrifici umani e i sacerdoti erano una casta chiusa, i drùidi.

Dopo sei anni e due tentativi falliti, fuggii: la nave era diretta in Gallia. Sbarcammo su una costa deserta: dopo 28 anni rischiavamo di morire di fame. I miei compagni mi chiesero di pregare il “mio” Dio: poco dopo comparve un gruppo di maiali con cui ci sfamammo.

Tornai dai miei. Pregavo, studiavo le scritture, vivevo in modo autentico, quasi viscerale, il mio rapporto con Dio. Poi, mi recai dal vescovo di Auxerre, padre Germano, per continuare gli studi e ricevetti il diaconato. Sognai alcuni irlandesi che mi chiamavano a tornare da loro. Capii che era il Signore a chiamarmi lì.

Intuii che era necessario il carisma monastico, che Basilio da poco aveva diffuso nell’Impero, per impiantare la Chiesa Cattolica tra Celti e Scoti, com’erano chiamati allora gli Irlandesi. Mi ritirai per un periodo nel famoso monastero di Lérins di fronte alla Provenza, per assimilare la vita monastica, e poi scesi in Italia, nelle isole toscane, che i monaci avevano convertito e dove erano stati fondati piccoli monasteri.

Ecco il grande giorno della partenza! Per alcuni anni aveva cercato di evangelizzare quell’isola Palladio Patrizio, lì inviato da papa Celestino I con l’incarico di organizzare una diocesi per quanti fossero già convertiti al cristianesimo. Ma il “quasi mio omonimo” – alle volte, nel corso dei secoli, anche assimilato a me e confuso con me – poi si ritirò dalla missione.

Offrii tutta la mia persona, tutte le sostanze di famiglia per ingraziarmi i re di ogni tribù. Questo fa chiunque si sente chiamato a partire missionario! Avevo pensato che convertendo i re e i nobili, “a cascata” si sarebbero convertiti anche i sudditi. E così fu. Nulla è inutile, compresi allora, nel cammino della vita: quei sei anni in cui conobbi la civiltà e le lingue di quest’isola, le dinamiche sociali… ora tutto mi tornava estremamente utile!

Nel 460 fui consacrato vescovo: il mio nome di battesimo Patrizio, “pater civium”, mi faceva sentire ancor più “padre di quel popolo”. Ordinai sacerdoti e consacrai vergini e monaci. Poi ordinai anche vescovi! Ma certo, non tutto fu facile: le persone più anziane erano restie a lasciare il paganesimo e inoltre con i miei discepoli dovetti subire l’avversione dei druidi e una volta 15 giorni di prigionia. E mi calunniarono anche, così scrissi le mie “Confessiones”, alla lettera “Dichiarazioni”, in cui espressi la natura divina della mia chiamata.

Non fondai una sola diocesi, ma una dozzina, una per tribù. Integrai nel segno cattolicissimo della croce quello del sole della religione gaelica e di qui le croci con quel tondino centrale che potete vedere ancora oggi nelle campagne irlandesi. Io divenni vescovo di Armagh e la sua contea oggi porta il mio nome, quale onore!

Ad un certo punto ritrovai in Irlanda altri tre vescovi del continente: con Secondino, Ausilio e Isernino collaborammo bene, un po’ quello che si auspica anche dalla Chiesa del terzo millennio!

Qualcuno di voi racconta bene che un giorno mi trovai in difficoltà per spiegare il mistero della SS. Trinità e il buon Dio anche allora mi venne in aiuto: con tutti i trifogli, tra l’altro il simbolo dell’Irlanda, che vedevo davanti a me, mi venne in mente di utilizzare questa immagine per dire la tri-unità di Dio. E tutti capirono!

Sono morto di fatica apostolica a quasi 80 anni a Down, nella ridente contea nord-occidentale dell’Ulster, da allora detta Downpatrick.

Oggi – anzi già da una settimana – tutta l’Irlanda è in festa e tinta di verde, tanti ragazzi (e no solo…) vanno in giro vestiti da trifogli e con trifogli. Tutti i centri sono animati da concerti, artisti di strada, parate, fuochi d’artificio e tantissimo divertimento. Immaginate negli Irish Pub cosa trovereste! Giovani e turisti da tutto il mondo, in particolare gli emigrati, giungono a Dublino che diventa un unico grande evento gioioso. L’evento clou è la parata partita alle 12 da Parnell Square a Dublino; a seguire quella di Galway, Capitale Europea della Cultura 2020. Una tradizione del ‘600 affermatasi sempre più sino ai giorni nostri.

Si beve birra, in particolare la dublinese Guinness, e il sidro, una bevanda ottenuto dalla fermentazione del succo di mela. E si mangia “Roast dinner”, un composto di carne di manzo bollita, patate arrostite, piselli e carote bollite, in genere servito con il pane tipico chiamato “Soda Bread”, composto da farina integrale e bicarbonato di sodio. La musica non può mancare!

Ma non solo. San Patrizio è anche il patrono della città di Boston e nella bandiera della città di Montréal (Canada) è raffigurato anche un trifoglio, per testimoniare la fortissima presenza irlandese in città. E anche queste città sono in festa!

In tantissimi in tutto il mondo, oggi indossano abiti verdi su cui non manca la presenza del trifoglio.

Inoltre, ogni anno, come oggi, le acque del fiume Chicago (che scorre nell’omonima città) vengono tinte di verde e a Tokyo si svolge una sfilata dedicata al santo irlandese.

Colgo l’occasione per farvi una raccomandazione: anche tra mille impegni civili ed ecclesiali non trascurate mai la preghiera e il rapporto con Dio. Anche da vescovo avevo trovato un luogo favorevole alla preghiera, una caverna, lontana dal mondo: il “pozzo di Patrizio”! Si raccontava che chi vi fosse entrato e fosse riuscito a giungere sino al fondo si sarebbe trovato in paradiso!

Cos’altro dire a voi italiani? Buona festa dell’unità d’Italia e non dimenticate l’origine divina di ogni uomo!”

S. Patrizio, vescovo

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Giuseppe Longo

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