È sempre bello ascoltare la testimonianza di missionari, soprattutto se si tratta di missionari contenti di esserlo. Ma cosa significa fare missione se questa, come ricorda papa Francesco, non può consistere in un proselitismo?
Nei locali della parrocchia dell’Addolorata di Matera un gruppetto di sacerdoti della Fraternità di San Carlo Borromeo, il 29 dicembre ha tenuto un incontro pubblico, promosso da Comunione e Liberazione, per offrire una testimonianza della loro vocazione missionaria.
I sacerdoti si trovavano a Matera per i loro esercizi spirituali ma anche – non poteva essere diversamente in quei giorni – per festeggiare insieme il Natale in un luogo significativo. Che era tale almeno per la storia di uno di loro, don Donato Contuzzi, che è il rettore del seminario di quella Fraternità sacerdotale e che è originario di Montescaglioso.
La storia di don Donato poteva essere comune a quella di tanti giovani lucani. Giunto il tempo di iscriversi all’università, infatti, Donato lascia il suo paese. Si trasferisce a Parma, dove lo avevano preceduto i suoi fratelli. Attraverso i fratelli, incontra il movimento di Comunione e Liberazione. Segue la comunità degli universitari di CL, coinvolgendosi sempre più in questa compagnia e in questa esperienza di fede.
Come ogni universitario, ovviamente, anche un universitario di CL durante gli anni accademici è alla ricerca della strada che dovrà seguire nella vita. Donato un giorno è a Roma e si ritrova nella casa della Fraternità sacerdotale dei missionari di San Carlo Borromeo. Rimane talmente colpito da dire: “questa casa è la mia casa”.
Non è questo certamente il naturale sbocco del percorso universitario che Donato aveva intrapreso. Ma è certamente in continuità con il percorso della sua vita. Dalla necessità di lasciare la propria terra, i propri affetti, alla decisione di lasciare tutto per seguire Cristo e diventare prete il passo può essere breve. O almeno non appare troppo lungo per chi ha scoperto la bellezza della vita che lo aspetta. Tanto da contagiare di questo entusiasmo tutti i presenti alla parrocchia dell’Addolorata, hanno potuto ascoltare la sua testimonianza. Tanto da far sorgere la curiosità di sapere da dove viene fuori una contentezza, una comunione, una passione così. In un momento, tra l’altro, così triste per la storia del mondo, per il dilagare della violenza e delle tante guerre.
Ci prova don Emanuele Silanos, per gli amici Lele, un altro sacerdote della Fraternità, a spiegare quello che un tempo hanno spiegato a lui. Lo fa paragonando il cuore dell’uomo a un bicchiere vuoto che la grazia di Dio poco alla volta colma. Una grazia che, dopo aver colmato il cuore, trabocca. Si va in missione per questo, sostiene don Lele. Sembra di capire, per un cuore colmo di gioia.
Don Lele, ormai molti anni fa, se ne andò in missione nella lontana isola di Taiwan e dove, nell’opera missionaria, poi gli succederà don Donato per dieci anni. Il quale si troverà a vivere in un contesto particolarmente impegnativo senza ancora conoscere una sola parola del cinese mandarino che si parla lì. Con la consapevolezza, tra l’altro, e anche prescindendo dalle difficoltà della lingua, che non avrebbe alcun senso andare a portare lì qualcosa che quelle popolazioni non conoscono.
Perché, dunque, andare in missione? Si parte soltanto per il desiderio di vedere riaccadere il fatto cristiano; è soltanto per questo che si va così lontano? Mentre don Donato parla, ritornano alla mente le parole del Vangelo dove l’angelo della resurrezione apparso alle donne, dice: “È risorto. Non è qui”. Per precisare subito dopo: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”.
Dal sepolcro vuoto, la Galilea era molto distante, ma la fede spinge chi segue Gesù a partire. Come le donne del Vangelo, i sacerdoti amici della San Carlo Borromeo partono per andare lontano, o anche nelle vicine periferie delle grandi città, di cui parla spesso papa Francesco. Partire, comunque, tesi a rincorrere il Risorto che “vi precede in Galilea”. La missione cristiana è questo voler seguire, anzi rincorrere Cristo. Fin nei posti più lontani, col desiderio, col presentimento di poterlo vedere di nuovo. Vederlo risorgere di nuovo. Col desiderio di vedere accadere di nuovo quella cosa incredibile che accadde quella volta al sepolcro.
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