A Pisticci un giorno di grazia e festa
Amici e parenti, una numerosissima presenza del presbiterio materano e una rappresentanza di quello tricaricese e tursitano si dirigono festosi e decisi verso il portale della chiesa parrocchiale di Cristo Re a Pisticci. E c’è un viavai di gente nel piazzale antistante.
È lunedì 28 agosto, memoria di S. Agostino.
È festa, come pure testimonia l’arco di luminaria posto davanti all’ingresso della chiesa.
Dopo S. Rocco, festa del paese, è la festa del parroco di Cristo Re, don Antonio Di Leo: 10 anni di sacerdozio. Primo anniversario a cifra tonda e a doppio numero.
Una celebrazione preparata nei dettagli
Dalla chiesa, adorna di fiori e bella per l’oro dei suoi mosaici ancor più splendenti del solito nell’aula liturgica illuminata a festa, risuonano gioiosi i canti che il poderoso coro interparrocchiale di Cristo Re, S. Giuseppe Lavoratore (Pisticci Scalo) e Madonna del Carmine (Tinchi) ottimamente guidato da Manuel Bastiano sta ancora provando al suono dell’organo dove siede Maria Grazia Calandriello.
Tutto concorre a creare un clima di accoglienza per il popolo di Dio che un po’ alla volta, giovani e anziani, bambini e famiglie, uomini e donne, per tante strade, contrade, paesi e diverse città d’Italia, vi giunge in un nuvoloso pomeriggio di fine agosto. Tanto numeroso da non essere contenuto tutto nell’aula liturgica. Chi per ringraziare il Signore della presenza di don Antonio, chi per ricordare un evento già vissuto insieme dieci anni fa, chi per pregare il Signore per sostenere questo fratello nel suo esser sacerdote per sempre, chi per condividere la gioia di un amico che traguarda una tappa importante, chi per vivere un evento importante della propria comunità cristiana o cittadina.
È pronta la sede per l’arcivescovo, Mons. Antonio G. Caiazzo, a destra del presbiterio, mentre una folta schiera di ministranti, adulti e bambini, si organizza per gli ultimi dettagli operativi del servizio liturgico. E al primo banco, hanno appena preso posto i genitori di don Antonio, Rocco e Pina, felici ma stanchi, tra lavoro ordinario e preparativi per questo grande evento.
“Dilatentur spatia Caritatis“
“Dilatentur spatia Caritatis”, “si dilatino gli spazi dell’Amore”: sono le parole di S. Agostino, vescovo e dottore della Chiesa, che si commemora nello stesso giorno dell’ordinazione di don Antonio, e che sono state un po’ come il programma per il ministero sacerdotale di don Antonio. Parole che risuonano nel solenne canto d’ingresso che accompagna la lunga processione di ingresso, composto da Manuel Bastiano, appassionato musicista autodidatta, figlio della comunità di Cristo Re.
Una liturgia organizzata nei minimi dettagli da don Antonio (“Ha predisposto tutto a puntino. Solo una cosa non ha previsto: doveva impedire che arrivasse questo caldo. Non ci è riuscito!”, ha scherzato il vescovo iniziando dell’omelia), liturgista per passione e formazione, nonché direttore degli Uffici Liturgici Diocesano e Regionale; che l’anno scorso, proprio in questi giorni, era alle prese – in qualità di segretario del Comitato per i Congressi Eucaristici – con un evento liturgico importante per tutto il Paese: il XXVII Congresso Eucaristico Nazionale.
La Parola di Dio del giorno, attinente alla circostanza: “dioincidenza”?
La Parola di Dio è stata quella già prevista dalla liturgia per quel giorno, attinente al mistero sacerdotale che vi si è celebrato.
Nella prima lettura, dalla prima lettera di S. Paolo ai Tessalonicesi (1Ts 1,2-5.8-10), come ha evidenziato l’Arcivescovo all’inizio dell’omelia additando la folta schiera di sacerdoti convenuti, abbiamo ascoltato di “una comunità sacerdotale: Paolo, Silvano e Timoteo. Non è scontato che più preti siano capaci di stare insieme, soprattutto quando il carattere di qualcuno – ed è questo il caso di S. Paolo – non è facile. Spesso c’è lo spirito del male che si mette di traverso e, così, insidia la comunione sacerdotale o impedisce di vivere in gratuità il ministero”. Il Vangelo, invece, un invito alla coerenza (Mt 23,13-22: “Guai a voi, guide cieche, scribi e farisei ipocriti!”): nessun monito più appropriato per la celebrazione di un anniversario sacerdotale. E anche il salmo (149), magistralmente cantato da un seminarista della diocesi di Teggiano-Policastro, Daniele Lettieri, era pertinente con l’occasione di festa che celebravamo: “Esultino i fedeli nella gloria”.
Non solo il decimo di sacerdozio di don Antonio: anche il decimo anniversario di matrimonio di Carlo D’Orio e Maristella Laviola.
Alla fine della celebrazione una serie di dichiarazioni di gratitudine, tutte praticamente riportate nel seguente video.
Dalla mensa eucaristica all’agape fraterna
La celebrazione, solenne e festosa insieme, impeccabile e attivamente partecipata, è stata il cuore della ricorrenza, ma a seguire, nella bella serata di agosto, il cortile adiacente la chiesa ha offerto la giusta location per continuare a festeggiare e per una bella occasione di incontro: un buffet allestito tra cortile e salone retrostante e tanti incontri, dialoghi, battute tra i tanti presenti: numerosi i giovani e diversi operatori della nostra Chiesa locale, laici e sacerdoti, Arcivescovo compreso, che in tante occasioni hanno operato per gli eventi diocesani più diversi, ultimo per ora il Congresso Eucaristico Nazionale di cui a giorni celebriamo il primo anniversario.
Auguri di ogni bene! Molte attese su don Antonio
“L’augurio che io ti faccio è tu sia sempre più entusiasta…” le parole dell’Arcivescovo nel saluto finale della celebrazione.
E anche dalla Redazione di Logos tanti auguri di gioia, Grazia e salute, auguri di vivere nella carità e di dialogo con il Signore, di sapere essere sempre con i giovani, tra i giovani e per i giovani, come alcuni nella loro testimonianza hanno sottolineato, e di riuscire a dare ristoro a tanti cuori assetati di Verità e di amore. Così che “dilatentur spatia caritatis”.
Ad multos annos, don Antonio!
Intervista a cura di Angelo d’Onofrio
Siamo già a dieci anni di sacerdozio, don Antonio. Prete giovane, amato dai giovani. Un piccolo bilancio di questi anni di amore e fedeltà al Signore…
L’amore e la fedeltà sono del Signore nei miei confronti. Quando festeggiamo questi appuntamenti festeggiamo la fedeltà del Signore alla sua promessa. Da parte nostra c’è l’impegno ad essere il più fedeli possibili. Non sempre ci siamo riusciti in questi anni, ma si è fatto di tutto per farcela. Non so se sono amato, ma mi sento amato. Credo che se dai amore, riceverai amore. Al di là del fatto che questa recezione possa essere tardiva in qualche caso, sono convinto che i frutti si vedranno. Siamo fatti per seminare, ma non sempre per vedere i frutti. Sono per la Chiesa.
Com’è nata e si è consolidata negli anni la tua vocazione al sacerdozio?
La mia vocazione è stata prematura, è cresciuta con me. Certamente ci sono stati gli anni dell’adolescenza, che grazie al lavoro delle persone che ho incontrato nel Seminario e nelle parrocchie è cresciuta e si è consolidata sia negli anni romani che in parrocchia. Sicuramente don Michele Leone è stata una figura decisiva nella mia vocazione sacerdotale, insieme ai miei amici sacerdoti giovani con cui siamo cresciuti insieme e con cui ci confrontiamo.
Sei sempre stato legato al mondo dello sport. Cosa oggi lo sport può lasciare come messaggio soprattutto al mondo giovanile?
Il mondo dello sport deve avere le giuste finalità. Esistono alcune attività che la Chiesa può fare, tra cui lo sport, senza perdere l’orizzonte dell’annuncio cristiano, attraverso questi canali. Hanno la finalità di prima conoscenza, ma non bastano da soli.
Sei stato chiamato a guidare una parrocchia, quella di Cristo Re a Pisticci, retta per ben 52 anni da don Leonardo Selvaggi. Che ricordo hai di lui e qual è la sua eredità spirituale che ti ha lasciato?
Sono parte di questa storia che dura da più di 60 anni. Di don Leonardo ho un grato ricordo. Siamo stati poco tempo insieme, ma prima molto di più. Posso semplicemente dirgli grazie per quello che ha fatto. 52 anni non sono pochi. Accadono molte cose in 52 anni. Ci sono punti di forza e punti più deboli. Ma siamo nella continuità cercando di perseverare nel bene fatto da lui e di realizzare le tante opere da lui pensate, anche quando tutti non ci credevano. Una visione quasi profetica la sua.
Sei a servizio della Chiesa diocesana e regionale essenzialmente come referente della Liturgia. Lo scorso anno a Matera è stato celebrato il Congresso Eucaristico Nazionale, che hai seguito come segretario. Cosa resta di questa esperienza di fede? Raccontaci qualcosa…
Un’esperienza unica di cui devo ringraziare l’Arcivescovo per il ruolo coperto, nonostante la mia giovane età. Così come i Vescovi lucani che mi hanno chiamato a guidare l’Ufficio Liturgico Regionale. Il congresso mi ha fatto avere una visione ancora più bella della Chiesa. Una Chiesa senza confini che mette al centro l’Eucarestia. Una Chiesa di popolo, perché è stato un raduno di popolo che mette al centro l’Eucarestia.
Sei anche rettore del Santuario del Casale di Pisticci. Quali progetti pastorali e prospettive spirituali? Che importanza ha la figura della Madonna nella tua vita di sacerdote?
Il Santuario è decisivo per la vita di Pisticci. Un centro visitato da tanti. Quello che vuole nascere a fianco è la diretta conseguenza di ciò che viene vissuto all’interno, dove viene pregata Maria come Vergine della Sanità. Deve essere centro di carità e di spiritualità. E deve vivere quelle che sono le tre C che don Leonardo indicava come culto-cultura-carità. Culto e cultura ce n’è abbastanza. La carità cercheremo di attivarla, speriamo per quest’anno, con l’apertura del Centro per l’autismo.
La figura della Madonna. È lei che mi ha condotto nei primi passi. È lei l’esempio di come deve essere il prete: il condurre a Gesù. È stata figura centralissima della mia infanzia e della mia adolescenza. Ti guida, ma poi fa un passo indietro, conducendoti a Gesù. Attraverso la preghiera, così, ho scoperto il Signore. Avverto questa sua presenza pastorale in mezzo a noi.
Essere prete oggi.
Oggi essere prete non è più difficile di ieri. Il prete oggi deve essere un uomo a 360 gradi. A volte ho la sensazione che ci soffermiamo su cose che non servono. È bello essere prete innanzitutto diocesano, perché hai a che fare con il popolo di Dio a cui dare il Signore. Il resto è di contorno. Se nella piccola testimonianza tu sei un ponte tra gli uomini e Dio, credo ne valga la pena. Non fossilizzandosi, invece, per la pastorale stessa, intesa come “strategie pastorali”, a cui credo molto poco. L’unica strada è la celebrazione dei sacramenti ed il rapporto umano con la gente. Portare Cristo al popolo e il popolo a Cristo, attraverso i mezzi che il Signore ci ha dato. Non dobbiamo scambiare il fine con i mezzi. Il prete non è un lavoro, ma una vocazione.
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