Don Lorenzo Milani e la scuola di Barbiana

Cento anni fa nasceva uno degli uomini che hanno maggiormente influito nella società italiana del secondo dopoguerra e nella Chiesa

Nel centenario della nascita di don Lorenzo Milani, il priore di Barbiana, tante occasioni ci sono state per ricordare la luminosa figura di questo sacerdote “scomodo”, come è stato definito da alcuni. Probabilmente, non tanto per quella distanza critica che egli affermava dal potere costituito.

Doveva sembrare scomodo piuttosto per lo stesso modello educativo che egli proponeva. Un modello ritenuto “pericoloso” perché fondato sulla cosa più “pericolosa” che un giovane, un ragazzo abbia: la sua libertà. Qualcosa, cioè, che per definizione è irriducibile. L’espressione di don Milani che tanto ha fatto discutere, “l’obbedienza non è più una virtù”, per la quale fu anche denunciato per apologia di reato, non significa evidentemente che disubbidire, che trasgredire le regole sia, al contrario, una virtù. Ma che il rispetto della regola coincide con il rispetto della libertà, suprema regola dei rapporti umani. Per questo il cardinale Matteo Zuppi, presidente dei Vescovi italiani, dice di don Milani che è stato “obbedientissimo e per questo libero”.

Del resto, per sottolineare l’obbedienza del priore di Barbiana basta andare alla genesi della sua vocazione sacerdotale quando nella sua città, Firenze, durante il rito funebre di un giovane sacerdote, decise prontamente di “lasciare tutto” per diventare prete al posto dell’altro prematuramente scomparso. Si trattava di dover lasciare veramente tutto, perché il giovane Lorenzo proveniva da una famiglia agiata, una delle più ricche famiglie fiorentine.

Don Lorenzo Milani è stato indubbiamente uno degli uomini che hanno maggiormente influito nella società italiana del secondo dopoguerra e nella Chiesa. Ha voluto ricondurre con forza l’azione della Chiesa nell’ambito dell’educazione alla fede e alla cittadinanza. Non bisogna dimenticare che i circoli cattolici di allora erano ridotti a una specie di dopolavoro, dove si andava per l’intrattenimento. Don Milani, con un gesto che ricorda Gesù che scaccia i mercanti dal tempio, distrusse tavoli da ping pong e attrezzature del genere per fare sedere i ragazzi ai banchi di scuola.

Grazie soprattutto a un suo testo, che volle fosse attribuito ai ragazzi della sua scuola di Barbiana, intitolato “Lettera a una professoressa”, l’insegnamento e il metodo educativo di don Milani si diffusero in ogni angolo della nazione. Per esempio, lo scrittore Peppe Lomonaco ricorda ancora le letture tenute allora presso il circolo giovanile Giovanni XXIII di Montescaglioso della “Lettera a una professoressa” dal prof. Angelo Bianchi, anche lui educatore per tante generazioni. “Quando Angelo ne parlava” dice, “ne fui affascinato”.

Agli occhi del giovane Lomonaco, quella di don Milani appariva una figura gigantesca, come un nuovo Garibaldi. “Lessi subito “Lettera a una professoressa” e fu in molte di quelle pagine che mi identificai. Per me fu un libro straordinario tanto che nel corso degli anni l’ho riletto più volte oltre a dotare ognuno dei miei figli di una copia di quel volumetto dalla copertina bianca di semplicità”.

L’emozione dei giovani del circolo Giovanni XXIII di Montescaglioso si comprende benissimo per la speranza che poteva rappresentare l’esperienza di Barbiana per tante comunità come quelle meridionali, emarginate e spinte a emigrare. Come ha ricordato anche il presidente Sergio Mattarella in occasione delle celebrazioni del centenario di don Milani. “Testimone coerente e scomodo per la comunità civile e per quella religiosa del suo tempo” ha detto il presidente ricordando il priore di Barbiana, “battistrada di una cultura che ha combattuto il privilegio e l’emarginazione, che ha inteso la conoscenza non soltanto come diritto di tutti ma anche come strumento per il pieno sviluppo della personalità umana”.

Per don Milani, ha detto inoltre Mattarella, “Il motore primo delle sue idee di giustizia e di uguaglianza era appunto la scuola. La scuola come leva per contrastare le povertà. Anzi, le povertà. Non a caso oggi si usa l’espressione “povertà educativa” per affermare i rischi derivanti da una scuola che non riuscisse a essere veicolo di formazione del cittadino. La scuola per conoscere”.

” 
Scuola di Barbiana di Giovanni Pracucci
è sotto licenza CC BY 2.0 .

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Paolo Tritto

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