Parla di te ai lettori della rivista
Sono il direttore responsabile di questo giornale e quando Marino Trizio mi propose di curare una rubrica sul rapporto tra Chiesa e Arte fui subito entusiasta perché l’omelia di papa Paolo VI rappresentava una rottura con il silenzio che da troppo tempo perdurava su questo argomento. La portata “conciliare” dell’omelia di Paolo VI, mi fece avvertire l’esatta dimensione del problema pur non avendo competenze artistiche. D’altra parte da vecchio redattore di Logos, presente in redazione sin dalla sua nascita, ho affrontato con gli altri colleghi tanti argomenti che riguardavano l’arte sacra e il suo significato spirituale ma una vera indagine di natura dinamica come fatto oggi non l’avevamo mai esperita.
D’altra parte la mia esperienza professionale, soprattutto nel campo della comunicazione (lunga militanza nell’Aiart, membro del Comitato Media e Minori e del Consiglio nazionale degli utenti), mi poneva verso l’arte come un osservatore sensibile soprattutto per quello che l’arte comunicava all’esterno, ma senza essere coinvolto nell’interazione artistico-teologico che l’opera stessa trasmette. Pertanto, con gioia ed entusiasmo ho accompagnato il lavoro del redattore Marino Trizio che ha messo non solo la passione ma si è dedicato anche con molto entusiasmo.
Rivolgo anche a te la domanda: quali riflessioni ti ha suscitato l’Omelia di Paolo VI, in cui affronta il rapporto tra la Chiesa, l’arte e gli artisti?
La prima riflessione che mi è venuta è quella sull’importanza del ripristino dell’amicizia tra la Chiesa e le arti, concetto che viene ripreso da Papa Ratzinger, qualche anno dopo, in un discorso rivolto il 21 novembre 2009 nella Cappella Sistina a esponenti di tutte le arti: pittori, scultori, architetti, romanzieri, poeti, musicisti, cantanti, uomini di cinema, teatro, danza, fotografia. E’ un’esigenza che si rende necessaria perché i tempi lo richiedevano, non per un fatto estetico come espressione del prestigio o del potere, come da rinascimentale memoria, o con scopo catechetico-pedagogico al fine di aiutare i fedeli, durante la preghiera, a concentrare l’attenzione sul Mistero enunciato ponendo, sotto gli occhi di tutti, l’immagine visiva del Mistero stesso, quanto piuttosto per affermare una dimensione devozionale in quanto contemplare un’opera d’arte sacra dovrebbe aiutarci a riflettere sul senso del nostro vivere, sull’orientamento che stiamo imprimendo all’esistenza, suscitare un atteggiamento “orante”.
Alla luce delle interviste agli artisti, ai parroci, esperti dell’arte e di arte sacra, hai potuto riscontrare un filo conduttore o pensieri che ti hanno particolarmente colpito che ritieni fondamentali per la ripresa di un confronto/dialogo sul tema?
Non sempre le riflessioni erano coincidenti e non poteva essere diversamente. Tuttavia è emerso un certo scetticismo su quanto non si è fatto e si poteva fare sia da parte degli artisti ma anche da parte degli stessi parroci. Il cammino è ancora lungo da percorrere e non è solo una questione di mancanza di finanziamenti, perché spesso non è questo il problema, piuttosto scarse idee o addirittura assenza di formazione che, a parere di qualche presbitero ma anche di esperti storici dell’arte, andrebbe somministrata sin dal seminario. “Da decenni ormai si parla in ambito ecclesiale del dialogo tra arte e fede e della necessità di elaborare e di sperimentare nuovi linguaggi e nuovi simboli. Tuttavia, tranne pochi casi isolati, poco si è fatto di concreto e di veramente innovativo. O almeno sussistono ancora dubbi, incertezze, posizioni talora contrastanti e contraddittorie”, è quanto emerge negli atti del Convegno di studio sul tema ‘Quale arte sacra oggi’ che si è tenuto il 6-7 maggio 2022 presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale a Napoli.
Pertanto, in questo senso il dialogo tra Chiesa e arte è ancora complesso e difficoltoso – nonostante dei passi avanti fatti dall’epoca dell’omelia di Paolo VI – a motivo della poca formazione di quelle figure che potrebbero creare un sano dibattito sul contemporaneo come gli artisti, gli architetti, i progettisti ma anche i liturgisti ed infine gli stessi presbiteri. La formazione dovrebbe abbracciare i punti di vista storico, filosofico, antropologico, pedagogico, paesaggistico.
Come si può promuovere oggi, in ambito territoriale, la collaborazione tra le diocesi, l’arte e gli artisti? Logos potrebbe svolgere un ruolo e quale?
Tale approccio presuppone definire in anticipo alcuni punti oggettivi e rispondere ai conseguenti interrogativi. E cioè il senso della bellezza è un concetto oggettivo? Esso è uguale per tutti? La vera bellezza è quella estetica o quella interiore ai soggetti artistici o quella che ognuno legge con la propria intelligenza, con i propri occhi, con il proprio cuore? Sta di fatto che l’idea della bellezza è sempre molto soggettiva, per cui è necessaria una mediazione e una certa collaborazione tra la libertà dell’artista e il committente. Mettersi insieme e riscoprire il cammino verso la bellezza che gli artisti possono imprimere nelle loro opere. Mediazione tra artista, che spesso non riesce a entrare nel mistero della fede, e il committente che vuole imporre una sua scelta pur non avendo le chiavi di interpretazione di un’opera d’arte. Quindi, la soluzione migliore è quella di affidarsi agli esperti, senza imporre da entrambe le parti il proprio pensiero; il rischio è di fare danni al patrimonio artistico.
Oggi, l’architettura e la decorazione pittorica, così come la statuaria, l’argenteria oltre al resto dell’arredo non hanno più quel ruolo di arricchimento che portava ad una concezione spirituale dell’arte e ad un cammino di trascendenza del credente così, secondo gli esperti, “tutto diviene spoglio, spartano sia il contenitore e sia il contenuto”, addirittura si arriva ad uno scollamento dai precetti. “Ma quello che è più raccapricciante, sostiene un esperto, è che anche organi religiosi di alto rango finiscono per alimentare questo decadimento, decidendo di spostamenti di altari, rimozioni di statue antiche, aggiornamenti, modernizzazioni, adeguamenti e quant’altro. E a patirne sono le strutture storiche con innesti ultramoderni in contesti che dovrebbero vivere di atmosfere, dove tutto era progettato non a caso, dalla luce ai decori, dalle proporzioni alle cromie”.
E’ pur vero che oggi, secondo alcuni artisti ed anche presbiteri, l’assenza di opere artistiche pittoriche o scultoree nelle chiese non sarebbe un grosso danno perché “l’analfabetismo è quasi scomparso e tutti i fedeli percepiscono la parola di Dio con l’ascolto e la lettura dei testi sacri. Non è più necessario, come nel passato, l’aiuto delle immagini alla comprensione del messaggio evangelico”.
Pertanto, un’esperta d’arte ritiene che “oggi sia necessario non solo ripensare in modo propositivo e radicalmente nuovo obiettivi, strutture, metodi e criteri operativi riguardanti la tutela, la conservazione e la valorizzazione di questo patrimonio, ma anche mettere in atto un vigoroso progetto culturale ricentrato sui nuovi linguaggi della fede attraverso l’arte. Insieme al culto e alla catechesi, è importante che ci sia l’utilizzo del patrimonio dei beni ecclesiastici per la promozione umana e sociale, in tal modo sarà possibile promuovere la cultura e l’arte così da farne strumento di economia generativa per i giovani”.
Al termine di questo percorso ritieni sia utile che Logos promuova e organizzi insieme alla Diocesi e all’Associazione Terre di Luce, una iniziativa di respiro nazionale per stimolare e riprendere il dialogo tra la Chiesa e gli artisti?
La realtà fattuale ci dice che il rapporto tra la Chiesa e l’Arte non è stato fecondo anzi di disinteresse e di disinformazione. Ricreare l’interesse tra gli addetti ai lavori significa fare maggiore formazione e creando un clima di dialogo mettendo in correlazione l’Arte e la Teologia. Questo passo deve essere fatto soprattutto nei seminari con la formazione dei futuri presbiteri ma anche mettendo intorno a dei tavoli gli addetti ai lavori affrontando il problema dal punto di vista storico, filosofico, antropologico, pedagogico, paesaggistico per una nuova progettualità.
Già aver trattato su questo giornale l’argomento coinvolgendo esperti dell’arte, docenti universitari, presbiteri sensibili alle bellezze artistiche, ci ha fatto capire che possiamo andare oltre, osare nel promuovere a Matera una occasione di studio e approfondimento multidisciplinare con esperti dei vari rami dell’arte e della ecclesiologia. Questa può essere la strada per creare un maggiore interesse sull’argomento partendo dai giovani che rappresenteranno i cattolici del futuro.
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