Il rapporto lavoratori-pensionati nel sistema economico della Basilicata 

Pubblicata la rilevazione del Sole 24ore. Significativo il risultato registrato nella provincia di Matera forse da mettere in relazione al buon lavoro per la Capitale europea della cultura e alla valorizzazione delle periferie.

Ha destato una certa positiva sorpresa vedere il piazzamento della provincia di Matera nella classifica nazionale riguardo al rapporto lavoratori-pensionati, elaborata dal Sole 24ore su dati Inps e Istat e pubblicata nei primi di maggio. Il quotidiano economico assegna al territorio materano un segno positivo, con 105 lavoratori ogni 100 pensionati.

Si tratta di statistiche rilevate con la costante preoccupazione per la tenuta dello stato sociale che con un basso numero di lavoratori, cioè di produttori di ricchezza, potrebbe non essere in grado di garantire il trattamento pensionistico, l’assistenza sanitaria, l’educazione e la spesa pubblica nel suo complesso. Emergenze che già oggi, purtroppo, cominciano a farsi sentire.

La provincia di Matera si colloca esattamente a metà classifica, appena sotto la media nazionale che vede 111 lavoratori ogni 100 pensionati. Si posiziona tra le prime province del sud e supera non poche province del centro-nord, territori anche importanti come Ancona, Ferrara, Savona, Genova, Trieste.

Già in passato la provincia di Matera aveva brillato nelle rilevazioni del Sole 24ore. Ma si trattava di classifiche che riguardavano la sicurezza o la qualità della vita. In questo caso, invece, si tratta di aspetti che investono i fondamentali economici. Può darsi che dietro ciò ci sia il lavoro fatto nel 2019 per la Capitale europea della cultura, un lavoro che probabilmente ha inciso positivamente nell’economia del territorio.

Non bisogna certamente abbandonarsi all’ottimismo e credere che questo basti per mettersi al sicuro dai gravi problemi che minacciano il futuro. Tante infatti sono le criticità. A cominciare dall’andamento demografico con grafici che rilevano una pericolosa tendenza che punta decisamente verso il basso. E questo porrà non pochi problemi alle prossime generazioni.

Bisogna anche dire a questo proposito che queste statistiche, come tutte le altre, se da un lato rivelano delle verità, dall’altro ne nascondono inevitabilmente altre. Per esempio, dove si registra un rapporto sfavorevole, non significa necessariamente che in quel determinato territorio ci sia meno produttività e più assistenzialismo, come spesso ed erroneamente si sostiene, soprattutto nelle semplificazioni che se ne fa nei dibattiti politici. È il caso della provincia di Potenza che ha un risultato negativo, con un rapporto di 89 a 100, esito prevedibile per un territorio fortemente condizionato dallo spopolamento delle zone montane e dove l’emigrazione delle giovani generazioni ha lasciato nei luoghi d’origine soltanto la popolazione anziana, facendo quindi aumentare la quota di pensionati.

Questo è ancora più evidente nel caso della regione Calabria. Tra le sei province italiane con le percentuali più basse, ci sono tutte le cinque province calabresi, con meno di 70 lavoratori ogni 100 pensionati. Chi paga le loro pensioni? La risposta è che oggi quelle pensioni calabresi le pagano i lavoratori del nord, compresi quei calabresi che sono emigrati al nord. Ma domani, nel caso si passasse a un regime di autonomia differenziata, questa domanda rimarrebbe senza risposta e i genitori di quegli emigrati rimasti nei luoghi d’origine rimarrebbero senza assistenza. 

C’è un’altra considerazione da fare. Le province in cui si registrano le performance migliori sono quelle dove vi sono importanti sedi universitarie, segno dell’attrattività esercitata da queste sulle fasce più dinamiche della popolazione, come sono le giovani generazioni, e segno della capacità che hanno le università di stimolare il mondo produttivo.

Per tornare alla regione Basilicata e all’elevato numero di pensionati presenti nelle aree interne bisogna sottolineare che tutto questo rimanda a qualcosa che attiene alla stessa natura dell’economia regionale. In Basilicata, infatti, sono le zone della cintura periferica quelle che sostengono maggiormente l’economia regionale, dall’area di Tito al Lagonegrese al Metapontino, a Matera, al Vulture e ovviamente a Melfi. È una realtà in netto contrasto con ciò che si registra solitamente nei sistemi di economia regionale, caratterizzati da un centro polarizzatore sul quale insistono le reti locali.

È bene che qualcuno cominci a studiare gli aspetti legati a questa specificità; a una regione cioè animata da periferie vitali e capaci di fare rete. Può essere un sistema regionale interessante da approfondire e chissà che da questo non ne possa venir fuori qualcosa di buono per il futuro dell’intero paese. Soprattutto, per cominciare a comprendere il valore che possono avere le periferie. Il dato positivo registrato in provincia di Matera potrebbe contenere anche questo tipo di indicazioni.

Il Sole 24ore su dati Inps e Istat

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Paolo Tritto

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