“Giovani e lavoro per nutrire la speranza” è il tema proposto dai Vescovi italiani in occasione della Festa del Primo maggio di questo 2023, Festa del lavoratori e festa di San Giuseppe lavoratore.
Quella del lavoro è una realtà che pone non pochi interrogativi alle comunità delle nostre diocesi e all’intero popolo del nostro territorio meridionale. Il nostro arcivescovo, nel messaggio rivolto in questa occasione, ha voluto cogliere con note di particolare intensità tutti i problemi, i bisogni, le speranze che al lavoro sono associati, soprattutto da parte dei giovani. Lo ha fatto partendo da un paradosso: “nell’era del benessere, dello spreco, è assurdo che ci siano persone (non numeri) che soffrano per mancanza del minimo indispensabile” mentre si dovrebbe “trovare una soluzione adeguata, con progetti mirati a favore delle nuove generazioni e per il bene della nostra terra”.
Ma perché i cristiani parlano di speranza se, come ricorda ancora Mons. Caiazzo, nemmeno le istituzioni, nemmeno i poteri mostrano adeguata capacità di affrontare questi bisogni così urgenti? O almeno di assicurare dignità al lavoro e una giusta retribuzione?
“Non è compito mio” dice l’Arcivescovo nel messaggio, “dare indicazioni a coloro che sono impegnati nella cosa pubblica”. Nonostante ciò, egli avanza una proposta per dare uno specifico contributo all’affronto del problema. “A mio parere” dice, “è necessario un tavolo di lavoro con tutte le istituzioni regionali, provinciali e comunali, i sindacati, gli imprenditori”. Qual è il significato cristiano di questa proposta? Perché evidentemente Mons. Caiazzo non parla di un semplice tavolo di concertazione tra le forze sociali.
Recentemente Andrea Tornielli ha pubblicato un libro, “Vita di Gesù” con commenti di Papa Francesco, in cui è dedicata qualche pagina al lavoro nella bottega artigiana di Giuseppe a Nazaret. In queste pagine vediamo come anche Giuseppe, dopo la nascita del Bambino, aveva dovuto emigrare e portare la famiglia lontano dalla sua terra, fino in Egitto. Di qui, dice Tornielli, Giuseppe ha certamente rivolto il suo doloroso pensiero alla casa e alla bottega di Nazaret. Probabilmente per il timore che nel frattempo fossero andate distrutte la sua casa, la sua bottega con gli attrezzi di lavoro. Nonostante ciò, egli si fida dell’angelo quando gli dice di fare ritorno.
La sua fiducia fu premiata perché il lavoro di Giuseppe sarebbe stato molto apprezzato se è vero che lo vediamo impegnato in cantieri di importanti opere edilizie a Sefforis. Il Signore aveva mantenuto la sua promessa. Ma non soltanto aveva mantenuto la promessa. Gesù in quella bottega c’era anche lui, era presente e, scrive Tornielli, “imparò il mestiere di Giuseppe e prese ad accompagnarlo regolarmente nei cantieri. Si sarebbe ricordato di quanto aveva appreso da lui raccontando esempi e parabole. Spesso Gesù rimaneva alzato la sera, alla luce fioca della lampada, per alleviare le fatiche del padre e completare il lavoro”.
Nel messaggio rivolto dal nostro Arcivescovo in occasione della Festa dei lavoratori c’è dunque lo stesso desiderio di Cristo. Di esserci, di essere presente. Di “rimanere alzato la sera, alla luce fioca della lampada”, come ricorda Tornielli, per sostenere l’uomo nella fatica del lavoro e nelle difficoltà che si presentano, difficoltà che talvolta sembrano insuperabili. Nella proposta dell’Arcivescovo di un comune tavolo di confronto sui problemi del lavoro c’è dunque il desiderio di esserci, di accompagnare l’uomo fin sui cantieri di lavoro. Perché possa l’uomo, e soprattutto i giovani, aprirsi con fiducia alla speranza.
“Anche noi, come Chiesa lucana” scrive Mons. Caiazzo in conclusione del messaggio, “ormai da anni, stiamo donando il nostro apporto affinché i giovani lucani restino in questa meravigliosa terra. Ne è testimone il cosiddetto Progetto Policoro. Nella sola provincia di Matera, con la nascita di diverse Cooperative sono centinaia i posti di lavoro creati. La Chiesa italiana ci ha creduto investendo economicamente e professionalmente. È una strada che stiamo continuando a perseguire e rilanciare. Ciò significa che è possibile valorizzare il nostro territorio, comprese le rovine, come quelle di Craco Vecchio, prese in considerazione e affidate a una nostra Cooperativa”.
È quest’ultimo esempio un contributo certamente piccolo rispetto alla soluzione di problemi del lavoro che, come si è detto, nelle regioni meridionali assumono proporzioni davvero impressionanti. Ma, come è capitato nel caso di Craco Vecchio, questa esperienza è qualcosa che dimostra che si può ripartire anche dalle rovine. C’è speranza se, come nella bottega di Nazaret, Qualcuno “rimane alzato la sera, alla luce fioca della lampada”.
Gerrit van Honthorst, Infanzia di Cristo, 1620, Museo statale Ermitage, San Pietroburgo
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