La Chiesa e l’Arte – Ettore Frani

Uno degli artisti più importanti del panorama nazionale, Ettore Frani, ha accettato il nostro invito in questo viaggio di riflessione sulla Chiesa, l’Arte e gli Artisti, consegnandoci questo suo prezioso e profondo contributo.

Ettore Frani nato il 1978 Termoli (CB), vive e lavora a Lido di Ostia Roma. Nel suo ricco percorso artistico ha esposto in numerosi spazi istituzionali tra cui la Galleria e il Museo San Fedele a Milano, la Raccolta Lercaro a Bologna, la Fondazione La Verde La Malfa a San Giovanni La Punta, il Palazzo Bisaccioni a Jesi, il PAN di Napoli, il Palazzo della Permanente a Milano (16° Premio Cairo), il CuBO Unipol a Bologna, il Museo Nazionale di Ravenna, Casa Morandi/Fienili del Campiaro a Grizzana Morandi, presso Casa Natale Raffaello Urbino, al Museo L’Arca di Teramo, al MAR di Ravenna, al Museo delle Cappuccine di Bagnacavallo, presso Casa Testori Novate Milanese, alle Tese di San Cristoforo a Venezia, al Museo Michetti a Francavilla a Mare.

Nel corso della sua carriera ha collaborato con diverse gallerie private tra cui figurano GiaMaArt Studio, Galleria Maniero, Galerie Felli, Galleria L’Ariete, Galerie Gilla Lörcher, IAGA Contemporary Art, Paraventi Giapponesi/Galleria Nobili, Nuova Galleria Morone e Paolo Deanesi Gallery. Ha altresì vinto il Premio San Fedele 2009/2010, il Premio Ciaccio Broker per la Giovane Pittura Italiana 2011, la I edizione degli Espoarte awards Stagione espositiva 2012/2013 “Artista under 45” e lo Special Project Arteam Cup 2016.

Le sue opere figurano in importanti collezioni pubbliche e private quali: il Museo San Fedele a Milano, il MAR di Ravenna, il Museo Michetti a Francavilla a Mare, il Patrimonio d’Arte Unipol a Bologna, la Fondazione Cassa Risparmio di Jesi, la Fondazione Giacomo Lercaro-Raccolta Lercaro a Bologna, la Fondazione Casa della Divina Bellezza a Forza d’Agrò (ME) e la Collezione AMC Coppola a Vicenza. Negli anni ha ricevuto diverse committenze ecclesiastiche: nel 2017 realizza un’opera su tema mariano (il dittico Miriam, porta del cielo), commissionatagli da Devotio e poi da questi donata alla chiesa provvisoria di Sant’Agostino di Amatrice; nello stesso anno, in occasione della chiusura del Congresso Eucaristico Diocesano, la Fondazione Cardinale Giacomo Lercaro gli commissiona un’opera su tema eucaristico (il trittico In memoria di me), opera poi acquisita dalla Chiesa Santa Maria della Carità di Bologna.

L’anno successivo, Andrea Dall’Asta S.J., direttore del Museo di San Fedele di Milano, gli chiede di realizzare il nuovo paliotto per l’altare maggiore dell’omonima chiesa; infine nel 2021, in occasione delle celebrazioni dei 500 anni dalla conversione di sant’Ignazio di Loyola, la Comunità Veritas dei Gesuiti di Trieste gli commissiona il nuovo paliotto (Epiclesi) per l’altare della Chiesa del Sacro Cuore di Gesù. Nel 2022 è invitato come relatore al convegno Quale arte Sacra oggi?  promosso dalla Scuola di Alta Formazione di Arte e Teologia di Napoli, presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, la cui relazione dal titolo La pittura come preghiera. Una testimonianza, è contenuta nella pubblicazione degli atti del convegno edita da Àncora Editrice nello stesso anno.

Nel 2023 un suo contributo dal titolo Arte e Fede. Una testimonianza, figura nel primo volume cartaceo della rivista digitale Arti e Teologie (di prossima pubblicazione presso Pazzini Stampatore Editore).

Alla luce di questa sua lunga e importante esperienza artistica le chiedo quali riflessioni Le ha suscitato l’omelia di Paolo VI, in cui affronta il rapporto tra la Chiesa, l’arte e gli artisti?

Sono parole importanti, che suscitano molteplici interrogativi e considerazioni non riducibili solo al discorso inerente il rapporto tra Chiesa, arte e artisti. Tra i molti spunti di riflessione, vorrei soffermarmi, seppur molto brevemente, su alcuni passi che mi hanno toccato particolarmente.

Una prima considerazione, molto importante a mio avviso, riguarda il passo in cui il Santo Padre dichiara: “E allora dov’è l’arte? L’arte dovrebbe essere intuizione, dovrebbe essere facilità, dovrebbe essere felicità. Voi non sempre ce le date questa facilità, questa felicità e allora restiamo sorpresi ed intimiditi e distaccati”. In breve dirò che l’arte, secondo il mio sentire, non può essere esperita secondo tale modalità. Concetti quali “facilità” e “felicità”, in realtà, credo siano riduttivi se consideriamo il punto di vista dell’artista, nonché quello del fruitore. L’interpretazione/lettura dell’opera richiede un impegno e uno sguardo “preparato” e l’opera stessa, che voglia rendere sensibile e visibile l’invisibile, deve poter divenire una ferita aperta sul mistero, piuttosto che apparire una facile e banale immagine, senza resti d’incomprensibilità, nella sua piena accessibilità.

Voglio dire: un’arte (anche liturgica quindi) che ponga una problematicità, che sia pensiero, domanda e non semplicemente un’illustrazione didascalica/aneddotica dei contenuti religiosi.

È certamente vero, come scrive Paolo VI, che l’arte ha cercato un distacco dalla vita, a volte anche rifugiandosi in maniera solipsistica e tautologica nel proprio linguaggio – pertanto solo autoreferenziale – ottenendo così proprio quella Babele di linguaggio che lamenta il Santo Padre. Ma ancor più, e qui invece vado a toccare un punto nodale per quanto concerne il nostro tema, occorre che l’arte non sia, come ci dice Paolo VI, solo linguaggio, ma che si avvicini alle necessità intime del mondo spirituale, se vogliamo che ci sia autentico colloquio “artisticamente vissuto, del momento religioso”.

Una forma d’arte, scrive il Papa, “che non sia travestimento di palcoscenico, rappresentazione puramente esteriore”, ma “una voce cavata proprio dal profondo dell’animo”.

Come non essere d’accordo con queste intenzioni, che vanno oltre “la catechesi e il laboratorio”?

Vorrei infine, accennare alle parole che Egli dedica all’uomo moderno e alla sua paura del trascendente: “questa distanza, che sorpassa infinitamente l’uomo e lo avvicina al senso spirituale della vita”; “Chi non avverte questa ineffabilità, questo mistero, non sente l’autenticità del fatto religioso”.

Parole che mi colpiscono particolarmente e che non possono non risuonare come problematico contraltare alla nostra situazione attuale, incentrata esclusivamente su un modello egoico e mercantile, dove ciò che assilla e direziona il nostro fare è solo ciò che posso, qui ed ora, desiderare e consumare.

Occuparsi di ciò che trascende l’essere, non favorirebbe di certo questa tendenza.

In memoria di me 2017

Il dialogo avviato da Paolo VI nel 1964, in riferimento alle sue conoscenze, ha prodotto dei cambiamenti o tutto si è fermato?

Non sono a conoscenza di come reagirono in quegli anni gli artisti alla chiamata del Santo Padre (e sarei molto interessato e curioso di saperlo). Da quanto ne so, ritengo che la richiesta di Paolo VI sia rimasta più un appello che un dialogo. Tutte le manifestazioni artistiche che la storia ci ha consegnato da allora, hanno preso, direi, strade del tutto diverse da quanto la Chiesa potesse sperare. La società innanzitutto, nei decenni successivi, ha subìto, come sappiamo, notevoli e sostanziali cambiamenti, e l’arte ha seguito congiuntamente questo stesso capovolgimento, allontanandosi parimenti dal dialogo con la Chiesa. Anche la lettera del 1999 di Papa Giovanni Paolo II, indirizzata agli artisti, non ha sortito effetti migliori. Pertanto, confermerei, che non solo non ci sono stati cambiamenti positivi a riguardo, ma si è continuato a seguire un processo, sempre più repentino, che ha inglobato tutto, di secolarizzazione e incomprensioni reciproche.

Ma la stessa omelia di Paolo VI, più che testimoniare “che non è mai stata rotta l’amicizia tra la Chiesa e gli artisti”, non sancisce, ancora una volta di più, forse, la totale – e mal celata – scissione tra questi?

Attesa 2018 – collettiva il Profumo del Pane- Santa Maria dell’Angelo Faenza

Un anno dopo l’8 dicembre 1965, furono i Padri del Concilio Vaticano II a lanciare questo messaggio agli artisti: “Il mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione. La bellezza, come la verità, è ciò che infonde gioia al cuore degli uomini, è quel frutto prezioso che resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione”.  Considerata l’attualità del messaggio cosa si può fare secondo Lei affinché ciò si realizzi?

È molto complessa la questione che qui si solleva. È così complesso il mondo in cui viviamo che non credo proprio di avere con me risposte effettive, ma probabilmente solo altre domande e questioni. Dobbiamo constatare che la bellezza è ormai disgiunta totalmente dalla Verità. Sembra anzi non esserci più valore certo, e la bellezza – ma di quale bellezza parliamo poi? – è quanto mai associata, a mio parere, solo ad una costruzione estetica, artificiale ed effimera. Una bellezza dunque supplente, cosmetica, che tenta di colmare quel vuoto che si spalanca di fronte al nostro sguardo. Pertanto di quale bellezza abbiamo bisogno? Quella odierna, che sembra avvolgere tutto come un necessario belletto, è solo seduzione e adescamento, vacuo contenuto. Questa bidimensionalità, appare spesso, purtroppo, anche nei nostri luoghi di culto. Questo tipo di “bellezza”, certo, non potrà salvarci. La desertificazione di qualsiasi senso, l’accecamento per eccesso di immagini, un certo ottimismo disperato per lo sviluppo, solo per indicare alcune caratteristiche del mondo odierno, fungono da collante tra gli uomini più di quanto un’autentica ricerca del bello possa operare. Anche nelle chiese contemporanee, dicevo, vediamo sempre più spesso meri idoli, o peggio “fumettoni”, in luogo di quelle che dovrebbero essere immagini veicolanti il sentimento pieno, tragico e religioso della fede. Ma anche qui non ci troviamo sempre di fronte ad un’espressione artistica più in sintonia con un superficiale e tiepido, per non dire fluido, sentimento religioso? Come possiamo dunque ancora prenderci cura della bellezza e del suo senso etico e politico? Ma anche, come possiamo immaginare ancora un uomo differente, che non sia totalmente schiacciato e modellato dal pensiero unico che il mondo attuale instilla fin dentro la sua anima? Forse solo attraversando quanto più lucidamente e consapevolmente la “notte” del nostro tempo, sarà ancora possibile trovare una risposta che non sia solo inganno e simulacro. Abbiamo bisogno di cercare – con coraggio – la luce e la bellezza proprio nell’ombra e nel buio di questo nostro incerto cammino.

Sepolcro Glorioso 2018 – istallazione paliotto Altare Maggiore Chiesa S. Fedele Milano

Prendendo ad esempio le tante chiese contemporanee presenti nelle nostre città, con esterni e interni molto omologati ed anonimi, perché, secondo Lei, nella storia moderna e contemporanea delle città, in generale, non si è più posta l’attenzione sulla forma architettonica, sugli interni delle chiese e sulle opere artistiche da realizzare, per mancanza di fondi o per altre problematicità?

Credo che questa questione, molto complessa, si possa inserire anche in un più ampio discorso che riguarda l’abbrutimento delle nostre città, abitazioni, piazze, monumenti e luoghi pubblici avuto dopo la seconda metà del secolo scorso. Negli ultimi decenni, con evidenza è possibile riscontare nelle nostre chiese la stessa sorte di avvilimento in accordo con i tempi e con una certa spiritualità che si è espressa, sempre più spesso, attraverso il solo sentimento morale o etico. È emersa la nuova cultura del brutto, del kitsch e dell’uomo-kitsch. Ci siamo irreversibilmente trasformati e la nostra componente religiosa, che sempre si rispecchia nelle immagini liturgiche, non poteva non seguire di conserva il processo di totale despiritualizzazione avvenuto nella società.

Lei ha partecipato al convegno nel maggio 2022 “Quale Arte Sacra Oggi? Uno dei temi affrontati è stato quello della preparazione dei parroci quando sono chiamati a prestare la loro opera in chiese antiche e moderne. Onde evitare interventi che potrebbero provocare danni irreparabili su opere di grande valore o realizzare opere architettoniche e artistiche scadenti, non sarebbe utile che i parroci seguissero un corso di preparazione sull’arte, la progettazione partecipata, le modalità di intervento e gli aspetti teologici?

Certamente sì. Lo ricorda anche Paolo VI nella sua omelia che “bisogna essere istruiti” e acquisire una conoscenza strutturata. Questo vale certo per gli artisti ma anche per i parroci. Come non è lecito inventare una religione personale non è opportuno improvvisare autonomamente, e senza preparazione, interventi artistici all’interno delle chiese – come mi è capitato più volte di vedere – magari commissionando opere solo in base ai propri interessi o al proprio gusto estetico che, il più delle volte, lascia assai perplessi.

L’arte cristiana ha un valore teologale, e comunica un messaggio religioso. L’arte, nelle sue varie espressioni, ha una capacità intrinseca di cogliere l’uno o l’altro aspetto del messaggio cristiano e non solo, traducendolo in colori, forme, suoni che assecondano l’intuizione di chi guarda e ascolta. L’arte e i beni culturali in genere, in base alla Sua esperienza, assumono un significato fondamentale per la crescita culturale di un Paese?

Ritengo che l’arte possa avere ancora un’enorme importanza per la crescita culturale e spirituale di un Paese. Credo sia assolutamente necessaria, anzi. Sarebbe auspicabile, certo, favorirla e sensibilizzare soprattutto le giovani generazioni alla sua e gratuità. Purtroppo la società ha relegato in un angolo marginale ed inessenziale queste fondamentali necessità. Unica crescita che pare essenziale oggigiorno è quella economica.

In base alla sua esperienza, i cattolici come si pongono rispetto al rapporto la Chiesa l’Architettura e l’Arte, sono sensibili o disinteressati?

Generalmente, e con le dovute eccezioni, percepisco una sorta di cecità e disinteresse nei fedeli per quanto riguarda il dialogo tra arte e fede. Spero di essere in errore, ma trovo molta più sensibilità e preoccupazione tra le persone meno praticanti così come tra coloro che si dichiarano atei, i quali manifestano sensibilità e interesse maggiore a riguardo. I fedeli, nella mia personale esperienza, sembrano spesso non accorgersi neanche della totale disarmonia tra il linguaggio artistico-architettonico e il messaggio religioso. Immagino che questo dipenda dalla sensibilità individuale, ma anche dalla formazione e dal percorso personale di ognuno. Gli stessi parroci, a volte, come accennavo prima in merito all’istruzione artistica, rendono esplicito un certo interesse, sì, ma dimostrano sovente di non avere gli strumenti necessari per intervenire felicemente e costruttivamente.

Vi ringrazio per avermi dato la bella opportunità di leggere, nella sua interezza, l’omelia di Paolo VI di cui conoscevo solo pochi estratti.

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Domenico Infante

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