La Chiesa e l’Arte – Giuliana Albano

Proseguiamo il percorso sul tema la Chiesa, l’arte e gli artisti, con una voce autorevole, quella della prof.ssa Giuliana Albano, Storica dell’Arte e archivista, docente di Arte sacra e Condirettrice della Scuola di Alta Formazione di Arte e Teologia, presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale – sez. San Luigi di Napoli.

Alla Prof.ssa Giuliana Albano, che ringrazio per aver accettato il nostro invito, chiedo di presentarsi ai lettori di Logos

Dopo aver preso la maturità classica pensavo di intraprendere percorsi di studio tipo veterinaria o agraria, poi, un poco per pigrizia e un poco per caso, mi iscrissi a Lettere Moderne indirizzo storico artistico alla Federico II di Napoli. È stata la svolta che mi ha portato a considerare l’Arte come la passione della mia vita. Successivamente alla laurea in lettere ho conseguito la specializzazione in Storia dell’Arte e il diploma in Archivistica. L’incontro con la Compagnia di Gesù mi ha dato la spinta per ricominciare e iniziare il mio percorso teologico, prima la laurea in Sacra Teologia, poi la Licenza in Sacra Teologia Dogmatica e ora sto per completare il Dottorato sempre in Teologia Dogmatica.

Presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli, Sezione San Luigi sono condirettrice della Scuola di Alta Formazione di Arte e Teologia, con incarichi di docenza per corsi di arte sacra e materie teologiche con la Pontificia Facoltà, con la Scuola di Alta Formazione e con l’Istituto Superiore di Scienze Religiose San Matteo di Salerno.

Collaboro da anni con la Soprintendenza per i Beni Storici Artistici e Architettonici di Napoli e con la Soprintendenza Archivistica per la Campania.

Da pochi mesi sono stata nominata, dall’arcivescovo metropolita di Napoli, don Mimmo Battaglia, membro della Commissione per analizzare il patrimonio della chiesa di Napoli e proporre «una nuova visione organizzativa che sappia coniugare economia e vangelo e favorisca lo sviluppo di forme di imprenditoria giovanile».

  1. Quali riflessioni Le ha suscitato l’Omelia di Paolo VI, in cui affronta il rapporto tra la Chiesa, l’arte e gli artisti?

“Noi abbiamo bisogno di voi” le parole dette da Paolo VI sono forti e significative. Ormai da decenni si parla di frattura tra arte e fede, un tema almeno per la Chiesa particolarmente attuale ed estremamente difficile. Le parole di Paolo VI rivolte agli artisti fecero e ancora oggi fanno emergere la consapevolezza di una frattura tra Chiesa e mondo laico, il Papa in questo modo confessava un senso di colpa di fronte ad un mondo che si era emancipato seguendo percorsi autonomi ed indipendenti. A mio avviso le parole rivolte, nella cappella Sistina, agli artisti risuonano come una richiesta di perdono per secoli di abbandono e di trascuratezza dell’arte sacra.

  • Il dialogo avviato da Paolo VI nel 1964, in riferimento alle sue conoscenze, ha prodotto dei cambiamenti o tutto si è fermato?  

Il dibattito è ancora aperto. Il Concilio Vaticano II ha rappresentato una svolta riguardo l’atteggiamento della Chiesa nei confronti dell’arte contemporanea, infatti, da lì si è sentita l’esigenza e la volontà di riaprire un dialogo tra gli artisti e il mondo ecclesiastico. Nonostante ancora oggi questo dialogo sia complesso e difficoltoso, si stanno compiendo significativi passi in avanti; credo soprattutto che la difficoltà sia dovuta alla poca formazione di quelle figure che potrebbero creare un sano dibattito sul contemporaneo, mi riferisco non solo agli artisti, agli architetti e ai progettisti, ma anche ai liturgisti e ai presbiteri. Una buona formazione potrebbe riattivare e rendere proficuo questo dialogo.

  • Un anno dopo l’8 dicembre 1965, furono i Padri del Concilio Vaticano II a lanciare questo messaggio agli artisti: “Il mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione. La bellezza, come la verità, è ciò che infonde gioia al cuore degli uomini, è quel frutto prezioso che resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione”.  Considerata l’attualità del messaggio cosa si può fare secondo Lei affinché ciò si realizzi?

A questa domanda non posso che rispondere come condirettrice della Scuola di Alta Formazione di Arte e Teologia e docente di Arte Sacra. L’arte deve essere in grado di produrre una bellezza capace di educare alla visione entusiasta del mondo. Un’opera d’arte nasce proprio dall’entusiasmo dell’artista di fronte alla realtà e alla verità che si apre davanti a lui. L’artista è capace di produrre stupore e meraviglia e, quindi, passione per la ricerca della verità. Il Magistero della Chiesa più volte ha riscoperto la via pulchritudinis, la via della bellezza. La contemplazione della bellezza stimola la capacità di superare le apparenze del visibile e penetrare a fondo la realtà andando oltre ciò che è evidente. Il mondo contemporaneo ha messo in discussione il concetto stesso di umano e per tutto ciò oggi pare possibile una riapertura e una ripresa nuova della via pulchritudinis, per uscire dalle secche di un pensiero che ha finito per svilire il significativo rapporto dell’arte con la teologia. In questa prospettiva si deve prendere atto che l’arte può essere una via rivelativa dell’interiorità umana in chiave teologica, che alimenta la ricerca artistica come una delle risposte alla domanda sul senso della vita stessa. Da qui, l’importanza della formazione per poter leggere teologicamente, antropologicamente un’opera d’arte e un territorio.

  • Prendendo ad esempio le tante chiese contemporanee presenti nelle nostre città, con esterni e interni molto omologati ed anonimi, perché, secondo Lei, nella storia moderna e contemporanea delle città, non si è più posta l’attenzione sulla forma architettonica e sugli interni delle chiese, per mancanza di fondi o per altre problematicità?

Spesso si accusa la Chiesa di non essere più al passo con i tempi e di non essere aggiornata alle tendenze del contemporaneo. Eppure, molti sono i gioielli di architettura dove forme linee e spazi hanno ridisegnato l’alfabeto dell’architettura sacra e cercato di prendere il passo del paesaggio in cui sono inserite. Penso alla chiesa di Dio Padre Misericordioso, inaugurata nel 2003 con la firma dell’architetto statunitense Richard Meier. Nota come la chiesa del Giubileo o Dives in misericordia sorge nel quartiere Tor Tre Teste. Tre vele, che hanno l’ardire di voler portare verso un mondo nuovo, sovrastano una struttura rigorosamente bianca. La Chiesa è ricca di richiamami biblici. Le tre vele, unitamente alla navata centrale, richiamano la forma della barca, tipica della tradizione cristiana. La barca è allegoria della Chiesa come protettrice nel mare in tempesta e lo stesso numero tre è intriso di simbolicità: la Trinità. Un’architettura sacra che rievoca un passato che continua a vivere nel presente. Ma reputo che la qualità di un progetto deve essere frutto di un dialogo approfondito soprattutto con le comunità. L’importante è non dare carta bianca all’architetto o al parroco, ma creare un percorso, capire che la chiesa diventa un luogo di coralità, di competenze, di discussione e soprattutto di simboli che devono essere compresi da tutti.

  • L’arte cristiana ha un valore teologale, e comunica un messaggio religioso. L’arte, nelle sue varie espressioni, ha una capacità intrinseca di cogliere l’uno o l’altro aspetto del messaggio cristiano e non solo, traducendolo in colori, forme, suoni che assecondano l’intuizione di chi guarda e ascolta. L’arte e i beni culturali in genere, in base alla Sua esperienza, assumono un significato fondamentale per la crescita culturale di un Paese?

I beni culturali ecclesiastici costituiscono circa i 2/3 dell’intero patrimonio nazionale, un vero e proprio museo diffuso, che si dispiega su tutto il nostro territorio e che la Chiesa oggi è chiamata a custodire, valorizzare, rendere fruibile in modo sapiente e lungimirante. Pertanto, credo che oggi sia necessario non solo ripensare in modo propositivo e radicalmente nuovo obiettivi, strutture, metodi e criteri operativi riguardanti la tutela, la conservazione e la valorizzazione di questo patrimonio, ma anche mettere in atto un vigoroso progetto culturale ricentrato sui nuovi linguaggi della fede attraverso l’arte. Insieme al culto e alla catechesi, è importante che ci sia l’utilizzo del patrimonio dei beni ecclesiastici per la promozione umana e sociale, in tal modo sarà possibile promuovere la cultura e l’arte così da farne strumento di economia generativa per i giovani. Ancora una volta la formazione è la chiave di tutto ed è pertanto molto importante in tal senso.

  • In base alla sua esperienza, i cattolici come si pongono rispetto al rapporto Chiesa e Arte, sono sensibili o disinteressati?

Non amo generalizzare, ma forse il sentimento legato al rapporto tra la Chiesa e l’Arte è di disinteresse e di disinformazione. Il nostro diploma di Arte e Teologia si rivolge anche ad esempio agli insegnanti di religione. Ritengo che questa possa essere la strada per creare un maggiore interesse sull’argomento partendo dai giovani che rappresenteranno i cattolici del futuro. L’altra strada per suscitare interesse è legata alle comunità, parrocchie e parroci che spesso ignorano il patrimonio presente nelle proprie chiese. 

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Domenico Infante

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