“L’obbedienza non è più una virtù”
Tra me e la libertà c’era solo un viaggio in macchina. Da più di un anno aspettavo il momento giusto per scappare.
Avevo diciotto anni e morivo di paura al solo pensiero che il piano che avevo messo a punto con la massima attenzione potesse ritorcersi contro di me.
Ma il mio cuore fremeva di ribellione verso il terrore costante, le regole crudeli e le tradizioni arcaiche che soffocano e a volte uccidono ragazze come me in Arabia Saudita, e si librava ogni volta che immaginavo una vita lontana da tutto questo.
Rahaf Mohammed, Ribelle
Non tutti conoscono la storia di Rahaf Mohammed, una donna ora poco più che ventenne che, nel gennaio del 2019, ha messo in atto la sua fuga dall’Arabia Saudita.
È la stessa Rahaf a narrarci la sua storia nel libro Ribelle, pubblicato in Italia per Mondadori nel 2022.
Figlia di un importante politico saudita, Rahaf racconta della sua infanzia ed adolescenza ad Hā’il, città con più di 250.000 abitanti, capoluogo della provincia del Najd, nel Nord-ovest dell’Arabia Saudita; qui, come ci spiega Rahaf, è presente il Wahhabismo, un movimento religioso nato intorno alla metà del XVIII secolo e basato su un’interpretazione molto restrittiva dell’Islam.
La “religione la – la”
Leggendo il libro, apprenderete di divieti – nei confronti, appunto, delle donne ma non solo – che mai avreste immaginato, al punto che Rahaf suole chiamare il Wahhabismo “religione la – la”, che in lingua araba vuol dire “no – no”. Ad esempio, a tutti è vietato recitare opere teatrali o scrivere storie perché, afferma l’Autrice, “queste attività sono considerate forme di menzogna”. Ancora, è vietato il gioco degli scacchi, in quanto è considerato solo “una perdita di tempo e un modo per sperperare denaro” nonché “causa di odio e inimicizia tra le persone”. È inoltre proibito suonare strumenti musicali o ascoltare musica (tranne pochissimi casi consentiti, come l’inno nazionale), riprodurre musica sui cellulari, guardare in TV programmi non religiosi, mandare fiori ad amici o parenti in ospedali e persino fischiare.
Gli atei vengono considerati dei terroristi, così come le femministe; l’omosessualità è punibile con la morte ed è ampiamente diffusa, per gli uomini, la poligamia (un uomo, si legge nel libro, può divorziare dalla moglie semplicemente pronunciando la frase “Io divorzio da te”).
Per quanto riguarda le donne, poi, la lista di obblighi e divieti è infinita: tutte le ragazzine dai nove anni in su devono iniziare ad indossare un abaja (lungo camice) nero e, a patire dai dodici anni, anche il niqab, il velo che lascia scoperti solo gli occhi:
Uscire senza il viso coperto dal niqab è un’offesa
che richiede una punizione severa,
e per aver trasgredito a quella regola
ho ricevuto un sacco di schiaffi, calci e pugni.
Rahaf Mohammed, Ribelle
Sempre dai nove anni in su, le ragazze non possono più abbracciare nemmeno i loro zii e fratelli, perché questo gesto potrebbe essere scambiato per un atto sessuale.
Altri obblighi della vita quotidiana
Vietato anche andare in bicicletta e svolgere altri lavori al di là dell’insegnamento in scuole femminili e poche altre professioni.
Inoltre – cosa che ha molto colpito le studentesse e gli studenti di una seconda superiore cui ho proposto la lettura di alcuni capitoli di questo libro -, se una donna ha bisogno di recarsi dal medico, non solo deve essere accompagnata da un uomo, ma non può nemmeno parlare direttamente con l’operatore sanitario: dovrà invece spiegare all’uomo che l’accompagna i suoi sintomi e quest’ultimo li riferirà al medico (che, a propria volta, per visitare la donna, dovrà servirsi della collaborazione di un’infermiera che provvederà ad avvolgere la paziente in un lenzuolo).
Altre pagine molto interessanti del libro ci parlano della scuola in Arabia Saudita (con le sue regole e le materie di studio, in primis la religione), della condizione subalterna della donna all’interno del matrimonio e della famiglia (dopo una certa età, i figli maschi esercitano la loro autorità non solo verso le sorelle, ma anche nei confronti delle loro stesse madri) e delle gravi conseguenze psicologiche – quasi sempre ignorate – a carico della salute mentale delle donne.
Per fortuna, da quattro anni a questa parte Rahaf è finalmente una donna libera: dopo essere stata arrestata, durante la fuga, all’aeroporto di Bangkok, è infatti giunta in Canada grazie ai numerosi appelli lanciati via social e all’intervento finale delle Nazioni Unite.
Se fosse tornata nel suo Paese, avrebbe subito la pena di morte.
Una storia a lieto fine, dunque; ma diversa, purtroppo, da molte altre.
“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”
Alle tante vittime silenziose dei fondamentalismi di ogni epoca e di ogni area geografica vogliamo, quindi, rivolgere il nostro commosso ricordo nella giornata dell’8 marzo. Perché – per citare le celebri parole di Primo Levi – “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”.
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