- Parla di te ai lettori della rivista
Cominciamo con le domande difficili… non amo molto parlare di me e pertanto vado subito al sodo. Mi chiamo Marco Pelosi e oramai da anni, in veste di Vice Direttore del Museo Diocesano di Matera e di socio della soc. coop. Oltre l’Arte, mi occupo quotidianamente di “beni culturali” di interesse religioso.
- Quali riflessioni ti ha suscitato l’Omelia di Paolo VI, in cui affronta il rapporto tra la Chiesa, l’arte e gli artisti?
Ogni volta che mi ricapita di leggere il messaggio di Paolo VI lo trovo sempre di grande attualità nonostante siano trascorsi quasi 58 anni. Penso siano due gli elementi centrali del discorso: il bisogno di ciò che è bello/buono e la possibilità di cogliere ciò che è “invisibile nel visibile” attraverso l’arte, una sorta di filo rosso che – come afferma lo stesso Paolo VI – ci connette con le generazioni passate e – speriamo – anche quelle future.
A tal proposito mi piace ricordare un’espressione del Cardinale Ratzinger: «Affinché oggi la fede possa crescere dobbiamo condurre noi stessi e gli uomini in cui ci imbattiamo a incontrare i Santi, a entrare in contatto con il bello» (Joseph Ratzinger, La Bellezza, la Chiesa, Roma 2005)
- Il dialogo avviato da Paolo VI nel 1964 ha prodotto un cambiamento o tutto si è fermato?
Se dovessi rispondere a questa domanda partendo dai risultati cioè da ciò che tale dialogo “avrebbe prodotto”, in particolare rispetto al nostro territorio, direi che non c’è stato un cambiamento sostanziale. Avendo avuto la possibilità di studiare nel dettaglio il contesto legislativo nel quale sono stati ideati i progetti di costruzione di nuove chiese a partire dal 1954 e le dinamiche connesse alla loro realizzazione, si coglie uno sforzo iniziale di dialogo tra fede e arte-architettura naufragato rovinosamente contro le logiche dettate dalla burocrazia e dal gusto personale di laici e presbiteri. A tutto ciò va aggiunto che è mancato – e continua a mancare – un autentico coinvolgimento delle comunità. Quest’ultimo aspetto tradisce profondamente quello spirito che ha “generato” le nostre chiese nei secoli passati. Dietro la loro edificazione non c’è mai un singolo individuo – laico, presbitero, vescovo – ma c’è sempre l’intera comunità (come per la Cattedrale di Matera) o un gruppo di persone che comunque la rappresenta.
- Quali passi lo Spirito ci invita a compiere per crescere nel nostro “camminare insieme a coloro che con la loro opera generano bellezza e trasporto dell’anima?
Non mi permetto di interpretare la volontà dello Spirito ma di riportare quanto mi suggerisce nell’agire quotidiano: ritrovarsi insieme per discutere e discernere.
- A volte i parroci sono chiamati a prestare la loro opera in chiese importanti sotto l’aspetto dell’architettura e per la presenza di opere d’arte di immenso valore, per le quali occorrerebbero conoscenze specifiche. Sarebbe utile che i parroci seguissero un corso di preparazione artistica per meglio comprendere la storia, il luogo e le opere, onde evitare interventi che potrebbero provocare danni irreparabili alle opere o non in sintonia con lo stile architettonico della chiesa?
Sarebbe senz’altro auspicabile ma – mi permetto di dire – sarebbe già utile prestare maggiore attenzione alle indicazioni prodotte negli ultimi trent’anni dalla Chiesa Italiana attraverso gli uffici nazionali e diocesani per i Beni Culturali e l’Edilizia di Culto.
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