Sono in corso le celebrazioni in Basilicata per l’anno giubilare della beatificazione di don Domenico Lentini. Nel titolo di una biografia dedicata al beato lucano possiamo leggere una definizione che, nella sua estrema essenzialità, dice tutto di quello che questo santo è stato: “Prete e basta”. L’autore del libro, Angelo Montonati, vaticanista di Famiglia Cristiana, con quel titolo ha voluto riprendere un’espressione latina usata da papa Pio XI che definì Lentini “sacerdos sine adiunctis”, cioè un prete ricco soltanto del suo sacerdozio.
Del beato Domenico Lentini, infatti, si potrebbe dire che non fece mai nulla di più di quello che un povero prete fa. Anzi, non diventò mai nemmeno parroco né viceparroco, tantomeno arciprete o canonico; non fondò alcuna congregazione religiosa, non creò opere sociali. «Era però un santo» dice Montonati, «e la gente lo capì subito, vedendo come lui passava il suo tempo pregando, insegnando, predicando e facendo penitenza».
È comunque evidente che essere un santo non significa non aver fatto nulla, come si potrebbe ritenere secondo i criteri del mondo. Tra l’altro, chi più dei santi è mai stato capace di accettare le sfide del tempo e di cambiare i tempi in cui è vissuto?
Domenico Lentini nacque a Lauria il 20 novembre 1770 da genitori contadini, fu ordinato prete nel 1794 e morì nella stessa Lauria il 25 febbraio 1828. Nella nota che a lui è dedicata nel sito del Dicastero delle Cause dei Santi si ricorda che il sacerdote lauriota, «conobbe anche dure prove: fu calunniato presso il vescovo da un sacerdote e passò per gli anni di fuoco della Rivoluzione napoletana del 1799».
Gli anni del beato Lentini furono veramente anni di fuoco, sia per la violenza dei rivoluzionari, sia per la violenza delle prime formazioni di briganti che proprio allora andavano formandosi nelle zone rurali della Basilicata, briganti che più tardi, dopo l’Unità d’Italia, rivolgeranno le loro armi contro l’esercito piemontese.
L’opera di Lentini fu quella di riconciliare gli animi, intervenendo ripetutamente per sanare tensioni e contrapposizioni politiche che laceravano dall’interno anche le stesse famiglie. Nel circondario di Lauria si era formato un vasto movimento di insorgenti che si opponeva all’occupazione del napoletano da parte delle truppe napoleoniche e che rifiutava i principi rivoluzionari, dichiaratamente ostili alla fede cristiana, che si volevano imporre. Gli insorgenti si ritrovarono, scrive Tommaso Pedio, «a combattere soli contro un nemico senza scrupoli che non concepiva il perdono, non giustificava l’errore e non consentiva che alcuno potesse opporsi alla politica di conquista e di rapina del loro imperatore».
Il corso degli eventi fu particolarmente infausto per le terre intorno a Lauria dove tra il 7 ed il 9 agosto 1806 andarono a concentrarsi sia le truppe napoleoniche che battevano in ritirata da Matera, dove erano state respinte, sia quelle che provenivano dal versante tirrenico. Accerchiata e messa in stato d’assedio dai rivoluzionari, la città fu data alle fiamme. Nel Massacro di Lauria, mille innocenti cittadini furono uccisi – la città contava allora novemila abitanti – e la quasi totalità delle abitazioni distrutte. L’odio spinse questi nemici senza scrupoli a uccidere inermi donne, bambini e anziani; perfino poveri infermi nei loro letti.
Non c’era pace in quegli anni nella terra lucana e il tentativo di riconciliazione di un povero prete come Lentini non poteva poggiare su altra forza se non quelle del sacramento della confessione, dell’educazione delle giovani generazioni, del soccorso ai poveri. Ma questo bastò a fare breccia nella durezza dei cuori. Scriveva don Francesco Sirufo, oggi Arcivescovo di Acerenza: «Il beato Lentini ha aperto le porte del tesoro di Dio continuamente: quella del suo cuore piena di umiltà e di bontà, quella della sua casa sempre aperta ai poveri e ai giovani, quella della sua vita a completa disposizione per il Signore e per il prossimo».
Ha detto il Signore: «Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi». Il beato Lentini ha accettato questa difficile sfida e ha voluto portare Cristo “in mezzo ai lupi” della sua epoca; disarmato, ha affrontato la violenza dei tempi. Lo ha fatto con coraggio ma soprattutto con la consapevolezza di affrontare quella tempesta insieme a Cristo, anzi preceduto da Lui. E la compagnia di Cristo rendeva gioioso il supremo sacrificio di sé. L’iconografia che rappresenta questo beato lo vede proteso a impugnare un Crocifisso che è davanti alla sua figura.
Il beato Lentini ha continuato a essere presente anche nelle varie tempeste che si sono succedute nella storia. Durante la Seconda guerra mondiale, per esempio, Lauria fu sottoposta a pesanti bombardamenti. Qualcuno ricorda ancora la triste giornata del 7 settembre 1943 quando, mentre dal cielo piovevano le bombe, la popolazione accorse presso la casa del beato, confidando che la sua protezione potesse risparmiare il sito. Inspiegabilmente, la chiave era sparita dal posto in cui solitamente era riposta, per cui la gente rapidamente si disperse. Fu la salvezza di quella gente, perché pochi attimi dopo la casa del beato fu centrata da una bomba.
Domenico Lentini fu dichiarato beato da papa San Giovanni Paolo II a Roma, in Piazza San Pietro, il 12 ottobre 1997, dopo aver riconosciuto il miracolo del 21 settembre 1988 che la signora Anna Maria Voria attribuì al beato dopo una guarigione improvvisa e scientificamente inspiegabile, intervenuta presso l’Ospedale Cardarelli di Napoli dove era stata dichiarata gravemente ammalata e prossima alla morte.
A Lauria il 12 ottobre 2022 è stato aperto l’Anno giubilare a venticinque anni dalla beatificazione di don Domenico Lentini. È stata inoltre elevata a santuario della Diocesi di Tursi-Lagonegro la chiesa parrocchiale di S. Nicola di Bari in Lauria, dove sono custodite le spoglie mortali del beato lauriota.
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