Se è vero che l’adolescenza è il periodo in cui una persona forma la propria identità, è più vero che lo fa acquisendo modelli comportamentali, culturali e valoriali che gli provengono dalla famiglia, dai gruppi di amici, dalle sue letture, ma lo fa anche rifiutando modelli che non vuole facciano parte della propria identità e vanno a costituirsi come forme di diversità. Attraverso queste idee e questi valori si definisce l’appartenenza a gruppi e a comunità più o meno estese. I processi identitari si sviluppano in un confronto continuo con gli altri che, per la prima volta, proprio in questa età, sono anche i genitori, i fratelli, gli amici, con i quali ci si è sentiti fino adesso come un tutt’uno. La costruzione di un’identità avviene sempre in opposizione a un’alterità che viene costruita di pari passo. Abbiamo bisogno di un elemento altro da noi per poter definire la nostra identità. Solo il contatto con il diverso rivela, a volte improvvisamente e inaspettatamente, la propria identità, della quale prima si vivevano in modo inconsapevole le caratteristiche. Ci si accorge di essere bianchi solo nel momento in cui si vede che ci sono persone con un colore di pelle diversa. (Principio antropologico di base: dall’alterità all’identità). In quel momento si percepisce che ci sono uomini che appartengono a più categorie e che noi apparteniamo a una di esse e non a un’altra.
Superato il periodo del colonialismo in cui l’identità e la diversità erano guidate da ideologie molto forti, in un’epoca di globalizzazione in cui le identità sono sempre plurime e il diverso non abita più luoghi remoti ed esotici come prima, ma vive gomito a gomito con noi, nei nostri stessi spazi, il confronto con la diversità è più fluido, più complesso, meno schematico di quanto non lo sia stato fino a ora. In questo contesto, soprattutto nei paesi europei in cui si sta creando una nuova identità sovranazionale, le varie diversità presenti sono delle risorse. Le generazioni di adolescenti che vivono queste identità multiple, spesso con sofferenza, sono quelle che creeranno una società davvero pluralista, in cui il valore sociale delle diversità potrebbe attenuarsi, permettendo alle persone di vivere con maggiore serenità le loro forme di diversità.
Il “diverso”, con tutte le caratteristiche che lo rendono tale, è in realtà il risultato di una costruzione culturale, più che la semplice constatazione di elementi naturali, obiettivi ed evidenti. Per questo motivo le varie forme di identità e di diversità, come il valore sociale a esse attribuito, non sono rigide e assolutizzabili, ma cambiano nel tempo e nello spazio con il modificarsi dei contesti sociali e culturali in cui si manifestano. Spesso le identità sono il risultato di vere e proprie invenzioni realizzate a scopi politici, è il caso per esempio di alcune identità nazionali.
In realtà l’identità di un gruppo, o delle persone che lo compongono, è molto più complessa di quanto possa sembrare a prima vista. L’identità è, infatti, composita, formata cioè da una serie di elementi (sociali, di genere, politici, religiosi, culturali) la cui combinazione dà vita a una serie di immagini molto fluide in cui i vari elementi sopra indicati, di volta in volta, diventano determinanti. La stessa fluidità vale per la diversità, siamo infatti identici ad un gruppo e diverso da un altro.
La letteratura ha rappresentato da sempre il tema del diverso, declinandolo in tutte le accezioni possibili e inserendolo in vari contesti. La diversità fisica, quella che con uno pseudo concetto scientifico abbiamo continuato a chiamare “razza”, quella religiosa, sociale, di genere o sessuale. La presenza della diversità nella letteratura ha avuto un preciso compito, quello della critica sociale e culturale. Lo sguardo straniante del diverso getta una luce sinistra, perturbante, sulle istituzioni e i valori della società che lo ospita, in quanto prefigura possibili ordini e pratiche alternative che, già con il loro darsi come possibili, relativizzano e indeboliscono le istituzioni e i valori stessi, ma nello stesso tempo aprono spazi progettuali e di sperimentazione del tutto inediti.
È per questo che la diversità si presenta sempre con il duplice aspetto dell’attrazione e della repulsione.
La letteratura sul tema dell’educazione interculturale fa emergere almeno quattro tipologie prevalenti di approccio al problema, anche se nella pratica esse coesistono e si “scontrano” all’interno delle istituzioni scolastiche e a volte perfino nelle intenzioni dei singoli insegnanti:
- Adattamento dei minori stranieri alla cultura scolastica: la scuola non riconosce le differenze, facilita l’inserimento degli alunni stranieri a patto che essi si adattino ai percorsi scolastici previsti per gli autoctoni , non è previsto alcun cambiamento delle modalità organizzative e metodologiche, sono presenti livelli elevati pregiudizio
- Omologazione tra gli allievi: la scuola riconosce le differenze ma le mette in gerarchia, sono previsti interventi di tipo compensatorio per colmare differenze linguistiche, è presente un etnocentrismo sostanziale
- Valorizzazione delle diverse culture: la scuola si apre alle differenze ma le tiene separate, l’educazione multiculturale viene rivolta solo agli stranieri, si riconosce alle minoranze un diritto al mantenimento di valori e tradizioni che vengono valorizzate, sono previsti interventi formativi individualizzati
- Conoscenza reciproca e scambio interculturale: l’alterità è pensata come valore positivo e fonte di arricchimento reciproco per tutti gli alunni, le innovazioni didattiche sono indirizzate a tutti gli alunni allo scopo di superare discriminazioni, è sostenuta una trasformazione dell’intera organizzazione scolastica in direzione interculturale.
Scrivi un commento