Riflettere oggi sull’ attualissima tematica del gender significa intervenire in un accesissimo dibattito che si rivela spesso scarsamente culturale poiché non favorisce alcun incontro. E’ culturale tutto ciò che promuove incontro che non omologa differenze o marca distinzioni. Quando si produce cultura si distingue per unire mai per dividere. Ma dibattere intorno alla questione gender ci espone inesorabilmente su due fronti:
Il primo è quello rappresentato dall’efficacia delle argomentazioni ed anche sulla consapevolezza delle argomentazioni.
Il secondo è quello rappresentato dalla deriva della contrapposizione strumentale.
Se è vero che la stragrande maggioranza di coloro che si pongono su posizioni avverse a quelle della teoria del gender affondano le loro radici culturali nel mondo cattolico è anche vero che la formazione umana derivante dalla fede esclude il giudizio !
Ma come evitare questi due fronti di contrapposizione?
L’uno si evita con una documentazione attenta, argomentata proprio per rifiutare generalizzazioni, puntuale nell’indicare le incongruenze antropologiche, serena nel puntare ad argomentazioni che sappiano “distinguere per unire”.
Per aggirare l’altro, occorre mettere da parte la polemica sterile, abbandonare i toni inutilmente accesi e non dimenticare mai che alla radice della maggior parte dei casi di adesione alle proposte del gender, c’è un disagio nell’identità sessuale che provoca malessere e sofferenza.
Questi due fronti, rischi o pericoli – chiamiamoli come più ci piace – in verità ci fanno meglio comprendere che alla base di questa che è una pura tematica inserita nel più ampio dibattito della questione antropologica vada affrontata solo a partire da un taglio educativo.
Cioè la questione è attinente alla sfera della questione antropologica, perché – appunto – riguarda l’uomo ma la sfida è una sfida assolutamente educativa !
Il processo educativo è tale se permanentemente ci sentiamo tutti coinvolti. Non è possibile pensare che la questione educativa sia una questione che riguarda l’infanzia e l’adolescenza !
Un uomo, anche al termine dei suoi anni, è comunque coinvolto nel processo educativo di qui lo stretto ed imprescindibile binomio educazione/cultura…cultura/educazione !
Ora la Sfida educativa, in questo tempo di crisi – un tempo in cui si assiste ad una eclissi di passioni (passione per il sociale, per la politica, per la cultura, per l’onestà….) – interpella tutti: intellettuali, politici, educatori, animatori, genitori !!
Questa nostra società spesso, per spasmodico desiderio di modernismo, è – in verità – irresponsabile ovvero non abile nel dare risposte.
Viviamo in una società che pone tante domande ma che sa dare poche risposte.
E non è una risposta (rispetto alla cosiddetta teoria del gender) l’appellarsi ad un vago concetto di libertà !
Ora non è il caso di addentrarci in ardite speculazioni filosofiche, teologiche o sociologiche intorno al concetto di libertà che implica Verità ma appare il caso di ricordare che etimologicamente: Liber….nel senso di libero contrapposto ad uno schiavo….vuol dire UOMO.
Così come la stessa radice di liber…”lib”…. la utilizziamo per liberalità come per libertinaggio, per libagione come per libidine ! Tutte declinazioni della sfera del “piacere”.
Non tutto ciò che piace, però, è lecito ed anche se fosse tutto lecito non tutto ciò che è lecito: giova !
L’aborto è lecito ma non sempre giova; il divorzio, il tentato suicidio, l’avanzamento di carriera a sgomitate non curante dell’altro, l’egoismo è lecito….ma giovano?
Non è con un decalogo di norme che potremo favorire una cultura dell’incontro su ciò che giova e per questo vanno attivati quei processi educativi nei quali sentendoci tutti coinvolti possiamo raccontarci chi siamo e che storia abbiamo alle spalle.
Assistiamo ogni giorno a processi sociali, invece, che vorrebbero convincerci di vivere in un eterno presente; quasi che alle nostre spalle non ci sia una storia in grado di orientarci, di condurci, di suggerire atteggiamenti utili a noi e alle generazioni che verranno.
Non è un caso che proprio sotto i nostri occhi si stia consumando il cosiddetto fenomeno dell’infanzia rubata:
Nella nostra società sembra non ci siano più i bambini. Quelli che un tempo si chiamavano così andavano a letto presto, non vedevano tutto quello che i grandi vedevano, non sapevano tutte le cose che i grandi sapevano – invero oggi sembra che i bambini (nativi digitali) sappiano ben più degli adulti, quando dicevano parolaccia venivano sgridati e non si sognavano di rispondere, avevano pochi giocattoli, molto semplici, in loro presenza molti discorsi non si facevano.
Oggi la maggior parte dei bambini va a letto tardi, assistono agli stessi spettacoli a cui assistono gli adulti, sanno tutto sul sesso e su tantissime altre cose, sono muti spettatori delle troppe liti tra genitori e spesso ne divengono illegittimamente arbitri, rispondono per le rime a chi dovesse sgridarli, giocano disinvoltamente con apparecchiature elettroniche che i loro stessi genitori stentano a far funzionare.
E’ ovvio che tutto ciò si rifletterà gravemente sulle tendenze e sulle tradizioni delle stagioni successive.
Sembra quasi che ad una precoce adolescenza non corrisponda un effettivo sbocco di maturità.
Abbiamo così bambini che si comportano da adulti a fronte di numerosissimi adulti che si comportano da bambini, con la stessa impulsività, la stessa incapacità di assumersi responsabilità…diciamolo pure con la stessa immaturità.
Il concetto di maturità, altro non è se non un concetto di tempo. In latino maturo vuol dire vecchio, in greco meteo…tempo !
Ecco è in questo quadro, non certo incoraggiante, che si inserisce la riflessione fortemente impegnativa legata alle teorie sul gender.
In questo quadro in cui pare assolutamente evidente una crisi dell’umano, della persona, della stessa visione del reale; in questo quadro in cui sembra frantumata l’identità dell’umano.
Una identità che pirandellianamente diviene giorno dopo giorno….centomila! Uno, nessuno, centomila !
Questa identità millesimata, produce un profondo senso di insicurezza, una profonda crisi di identità degli uomini e delle donne di questo tempo.
La perdita – in una sola parola – di un centro interiore da cui deriva la profonda identità personale.
L’ effetto di questa società liquida (in verità ormai in essere e non solo più teorizzata) non è solo l’omogeneizzazione delle relazioni e dei processi, ma la costruzione dell’identità o peggio ancora l’invenzione dell’identità !
Cioè nel tempo postmoderno: l’identità va inventata !
Per cui è legittimo pensare che ognuno non solo possa, ma addirittura debba, inventarsi l’identità che più gli piace che più gli è consona: io sono ciò che mi sento!
Un autorevolissimo padre e profeta di questo tempo però, Papa Francesco, con profonda umiltà si è sentito di suggerire che l’identità non va mai messa all’asta (per cui è cosa concreta) e al più va scoperta.
Ecco che torna dominante la questione educativa.
Oggi l’idea stessa di educazione sembra essere messa in discussione poiché l’educazione presuppone un orizzonte condiviso di valori.
Si esalta la libertà dell’individuo al punto da farci credere di poter elaborare una propria identità senza doversi più confrontare con uno standard prestabilito e oserei dire “scientifico” di “normalità”.
Un tempo era chiaro che esistevano molti limiti alla libertà dell’uomo, sotto la forma delle molte autorità alle quali si doveva sottostare. Oggi la libertà in pericolo è quella del MONDO INTERIORE
E’ evidente come tutto si stia disgregando in una infinità di dettagli facendoci perdere il concetto stesso dell’identità delle cose e delle questioni
E’il cosiddetto relativismo ateoretico: tutto dipende dalla tua posizione e da come vedi le cose, indipendentemente dalla conoscenza scientifica o interiore o da qualsivoglia prassi educativa (cioè orizzonte condiviso di valori).
Ma Collettivismo non è collettività. Oggettivismo non è oggettività.
Tutto è flessibile al punto di essere in una società non immorale (opposto della morale….ma che riconosce la morale) ma amorale (fuori dalla morale).
Una società dell’apparenza e dei modi di essere: concepiti come “profonda varietà”, come catalogo delle identità possibili.
La miriade di prospettive, alcune palesemente contraddittorie, in cui si disintegra la realtà pretende di imporre un modello univoco di verità valoriali da proporre a tutti.
E’ necessario allora aprire un sano confronto, un autentico dibattito capace di fornire validi spunti di discernimento, originali occasioni di verifica, momenti di crescita, processi di sviluppo individuali e comunitari che ci mettano nelle condizioni di riappropriarci di un pensiero che non sia né massificato nè tantomeno compromesso dal cosiddetto pensiero dominante.
La rimozione della differenza, infatti, è il problema, non la soluzione.
Scrivi un commento