La presidentessa del Serra club di Matera, Margherita Lopergolo, in collaborazione con il presidente dell’Associazione Antiracket ‘Falcone e Borsellino’ di Montescaglioso, Ambrogio Lippolis, ha organizzato l’incontro per la presentazione del libro “Dio ha le mani sporche” di don Marcello Cozzi quale occasione formativa in vista del Concorso scolastico nazionale del Serra International Italia che ha per tema: “Il perdono e la pace a partire dal cuore dell’uomo”.
Hanno partecipato gli studenti del Liceo scientifico ‘D. Alighieri’, dell’I.I.S. ‘Pentasuglia’ e dell’ITAS ‘ Briganti’. Ha illustrato i lineamenti generali del Concorso la coordinatrice Lucrezia Carlucci.
Moderatrice dell’incontro è stata la giornalista Antonella Losignore che ha condotto un dibattito con gli studenti reso molto interessante dall’intervento appassionato di don Marcello Cozzi.
L’incontro è stato allietato da un’emozionante esibizione canora dei ragazzi sul brano ‘Pensa’ di Fabrizio Moro.
Don Marcello Cozzi, lucano, prete impegnato da decenni sul versante del disagio sociale, nell’educazione alla legalità e alla giustizia, nel contrasto alle mafie e nell’accompagnamento ai pentiti di mafia e ai testimoni di giustizia. Attualmente è docente di Teologia in alcune Università pontificie. È presidente della Fondazione nazionale antiusura “Interesse uomo”, è stato vicepresidente della Federazione italiana delle associazioni antiracket e antiusura, e vicepresidente di Libera, associazione per la quale oggi coordina il tavolo nazionale di confronto ecumenico e interreligioso. Ha scritto vari libri.
Don Marcello racconta anni di percorsi, incontri e colloqui con chi si porta sulla pelle le cicatrici e le ferite ancora aperte della violenza subita ma anche di quella di cui si è stati artefici: dal caso Elisa Claps, la ragazza sedicenne ritrovata cadavere nel sottotetto di una chiesa a Potenza, alle confidenze di Giovanni Brusca, l’autore della strage di Capaci; da Andrea, Sara e Angelina, vittime della criminalità mafiosa, a Rahama, Becky e tanti e tante che come loro sono vittime della tratta degli esseri umani.
Un racconto fatto “con il vangelo in mano” che permette di comprendere meglio che il Dio dell’umanità sofferente è fragile e inerme, ma che non teme di lasciare la sacralità dei propri spazi pur di sporcarsi le mani con il dolore e la fatica degli uomini.
Ma perché, ci si chiede, questo titolo così provocatorio: ‘Dio ha le mani sporche’? Bisogna partire da lontano, risalire al momento in cui don Marcello ha deciso di parlare col dolore, ha toccato le sue ferite, ha ascoltato il suo grido, ha accompagnato la sua rabbia. E’ un percorso di una vita intera, la sua vita che solo adesso, dopo decenni di attività pastorale e di accompagnamento alla sofferenza, è arrivato ad avere le idee più chiare, pur essendo cosciente di non avere certezze assolute, di riuscire a trovare le parole anche nei momenti più difficili e assurdi.
E’ questo il caso dei suoi lunghi colloqui con Giovanni Brusca, l’autore della strage di Capaci, che fece uccidere il piccolo Giuseppe Di Matteo, prima strangolato e poi sciolto nell’acido. In questi dialoghi, e in tanti altri che ha avuto con personaggi del genere, cosa muoveva don Marcello a resistere dal senso di avversione che lui, come ogni essere umano, provava di fronte ad un assassino di quasi un centinaio di persone uccise con tutte le modalità possibili?
E’ proprio in questo aspetto, cioè riuscendo a dialogare con un uomo che, se pur cambiato dopo oltre 20 anni di galera dura, comunque, rappresenta un essere abietto verso il quale si è spinti a non considerarlo come persona, a non parlargli per disprezzo anzi ad augurargli ogni possibile male. E qui sta il passaggio di valore, cioè, pur considerandolo per quello che è e ciò che ha fatto, pur avendo il più grande disprezzo, tuttavia, don Marcello trova la forza di dialogare e di considerarlo ancora un essere umano. E’ una maniera di sporcarsi le mani dando retta a questi assassini, anche se pentiti dopo anni di sana riflessione, a concedergli la propria attenzione e disponibilità, a dare la propria umana comprensione anche se senza perdono.
Qui proprio sta il senso dello sporcarsi le mani come se le è sporcate Gesù prima nella vita e poi sulla croce offrendo la sua vita per tutti noi, buoni e cattivi, giusti e ingiusti. Si è sporcato le mani Gesù quando si è avvicinato ed ha amato i poveri, i derelitti, gli assassini, i lebbrosi, la peccatrice la quale, a differenza di chi si riteneva nel giusto, ha lavato i piedi a Gesù con le sue lacrime, amandolo. Gesù che ha avuto l’ardire di “arruolare” nel suo sgangherato esercito di sognatori di strada l’esattore Levi, odiato da tutti per il suo sporco mestiere, sporcandosi le mani, chiamandolo poi Matteo, “uomo di Dio”, facendolo diventare apostolo ed evangelista. Si è sporcato le mani quando al grido implorante del lebbroso “se vuoi puoi purificarmi”, Gesù lo toccò dicendo: “lo voglio, sii sanato. E subito la sua lebbra scomparve”.
Gesù non si arrocca nella torre di avorio riservata alla purezza delle cose sacre ma va incontro al lebbroso del Vangelo e ai tanti lebbrosi di oggi, compreso quel prete che si è macchiato di pedofilia.
E la stessa situazione in cui don Marcello Cozzi si è trovato nei suoi dialoghi con i tanti Brusca di questa nostra epoca e che, pentiti e trasformati dentro dalla corrosione dei loro delitti e peccati, chiedono aiuto a Dio, chiedono aiuto agli uomini.
E’ questo, dunque, il senso dello sporcarsi le mani, di riuscire quindi a capire l’umanità di chi è in dialogo con noi a qualsiasi titolo e occasione anche se il nostro interlocutore non meriterebbe, per il suo passato e per i delitti commessi, il nostro amore.
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