Il fenomeno del crollo delle nascite in Basilicata è qualcosa che deve preoccupare; è un dato veramente drammatico. Il Piano Strategico regionale, approvato dal Consiglio Regionale nel gennaio di quest’anno, colloca questa triste realtà al primo posto tra le patologie a più alto rischio di irreversibilità di cui soffrono la società e l’economia lucane.
Troppo a lungo sono state trascurate le gravi conseguenze del calo demografico che opprime tutta la nazione e che ha condotto a ciò che è stato definito “inverno demografico”. In Basilicata tale quadro appare ancora più desolante perché al crollo delle nascite – si è scesi da 5.472 nati nel 2002 ai 3523 del 2020 – si aggiunge la continua crescita dell’emigrazione tra le classi giovanili in età feconda. È un aspetto che rende doppiamente drammatico il fenomeno e che rischia di divenire irreversibile per il fatto che i giovani lucani, i soli che potrebbero invertire questa deriva, hanno nel frattempo abbandonato definitivamente la loro terra.
Non bisogna sottovalutare le conseguenze del calo demografico, come purtroppo oggi avviene. Basti pensare che, secondo molti analisti, a spingere Putin verso l’invasione dell’Ucraina – al di là della tesi poco credibile della denazificazione – è proprio ciò che è stato chiamato “l’incubo demografico russo”. Al momento del crollo dell’Unione Sovietica, infatti, si contavano circa 290 milioni di abitanti, oggi la popolazione russa ne conta meno di 150 milioni, un crollo che solo in parte può essere attribuito alla fuoriuscita di alcune nazioni dalla Federazione Russa.
Se facciamo l’esempio della Russia – certamente un caso limite – è per ricordare quali gravi tensioni sociali possono generare gli squilibri demografici. Nel nostro contesto regionale, come è il caso della Basilicata, è necessario interrogarsi seriamente sulle reali cause del fenomeno.
Si è detto per tanto tempo che i giovani lucani emigrano, andando a insediare il proprio nucleo familiare altrove e che se vanno via è per la ricerca di un lavoro. Ma ciò che poteva essere vero negli anni Cinquanta e Sessanta, non è del tutto vero oggi.
I giovani lasciano la Basilicata molto prima del momento in cui cercano di immettersi sul mercato del lavoro. Vanno via al momento di scegliere una sede universitaria per proseguire gli studi. E lo fanno evidentemente perché non intendono rimanere privi di quel bagaglio culturale che può consentire loro di affrontare adeguatamente la complessa realtà del mondo di oggi, un bagaglio culturale che può consentire loro di partecipare attivamente al processo di sviluppo economico in atto.
Per un certo tempo si è pensato che tutto ciò avveniva perché la Basilicata non disponeva di una sede universitaria propria. Cioè, si riteneva che i giovani si spostassero perché non avevano la possibilità di seguire localmente un percorso di studi universitari. Si è visto invece che l’istituzione dell’Università della Basilicata non ha frenato affatto questo esodo. E ciò è successo perché era abbastanza evidente che l’ateneo lucano non poteva collegarsi a un processo di sviluppo in atto nel territorio. In poche parole, la crisi demografica che si registra in Basilicata, verosimilmente, è dipendente dall’assenza di un attrattivo modello di sviluppo regionale. La Basilicata sembra una regione cui è stata negata ogni possibilità di sviluppo economico.
Perché? Le cause di tutto ciò sono numerose e piuttosto complesse, la principale delle quali è indubbiamente l’assistenzialismo, favorito da una certa classe politica per l’enorme potere di mediazione che questo conferiva ai politici. Non è il caso comunque di attardarsi su questo tipo di analisi; oggi è necessario guardare al futuro.
Sul futuro ha voluto scommettere il governo italiano che l’8 giugno scorso ha varato i cosiddetti “progetti bandiera” nell’ambito delle risorse previste dal PNRR cui sono state ammesse cinque regioni, tra le quali la Basilicata. Si tratta, come ha detto il Presidente Mario Draghi, di progetti di grande interesse territoriale e nazionale che mettono a sistema diversi interventi previsti dal PNRR grazie alla capacità di selezione e progettazione territoriale promossa dalle Regioni. Ha spiegato inoltre Draghi che «il progetto delle regioni Piemonte, Friuli-Venezia-Giulia, Umbria, Basilicata e Puglia punta a realizzare siti di produzione di idrogeno verde in aree industriali dismesse. Contribuisce a stimolare la crescita, a creare occupazione».
Soprattutto, si potrebbe aggiungere, si tratta di progetti capaci di proporre nuovi modelli di sviluppo sostenibile. Ci crederanno i lucani in questo tipo di innovazione green? Le perplessità non mancano se si pensa alla resistenza che si oppone, da parte della popolazione, della magistratura, della pubblica amministrazione, alla conversione ecologica e all’installazione di fonti di energia rinnovabile. Il presidente di Confindustria Basilicata Francesco Somma ha recentemente parlato, a questo proposito, di un pregiudizio ideologico che nella nostra regione frena gli investimenti.
Eppure negli anni Cinquanta, Adriano Olivetti proprio in Basilicata volle dimostrare che si può incrementare lo sviluppo economico e nello stesso tempo garantire per tutti una migliore qualità della vita. Allora tutto questo bastò a risvegliare una speranza. E ciò che successe allora – perché no? – potrebbe accadere ancora oggi.
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