Sentita ricorrenza Pompei e in tutta Italia
“Se cerchi salvezza, propaga il Rosario. È promessa di Maria!”: erano queste le parole di San Domenico di Guzman che il padre domenicano Alberto Radente aveva riferito al giovane avvocato pugliese Bartolo Longo, fondatore del Santuario di Pompei, in uno dei momenti del suo cammino di conversione.
Testimonierà il beato Longo più tardi: “Chi propaga il Rosario è salvo! Questo pensiero fu come un baleno che rompe il buio di una notte tempestosa… Coll’audacia della disperazione sollevai le braccia e le mani al cielo, e volto alla Vergine celeste: Se è vero – gridai – che Tu hai promesso a San Domenico che chi propaga il Rosario si salva, io mi salverò perché non uscirò da questa terra di Pompei senza aver qui propagato il tuo Rosario! Nessuno rispose: silenzio di tomba mi avvolgeva intorno. Ma, da una calma che repentinamente successe alla tempesta nell’animo mio, compresi che quel grido sarebbe stato un giorno esaudito… La risposta del cielo non fu tarda.”
E l’8 maggio, come l’apparizione dell’arcangelo S. Michele sul Gargano, a cui Bartolo Longo era legatissimo, si festeggia Maria con il titolo di Regina del Rosario ed è festa grande nel Santuario di Pompei che a lei è intitolato e che rappresenta in Italia il riferimento più grande alla devozione del Rosario.
Festeggiamenti preceduti da un novenario e da una serata di intensa preghiera con vari momenti tra cui un’ora di adorazione eucaristica culminante nella messa di mezzanotte – celebrata quest’anno dal Card. Mario Grech, segretario generale del sinodo dei vescovi – che hanno al centro la S. Messa delle 10:30 che termina con la supplica (tutte le celebrazioni sono fruibili su Napoli Canale 21 o in diretta streaming su www.canale21.it).
Una festa sentita in tutta Italia grazie anche alla supplica che per tradizione si prega a mezzogiorno – e quest’anno è favorita la recita comunitaria in chiesa cadendo l’8 maggio di domenica – ma non meno per le opere “sociali” che Bartolo Longo ha creato nella Valle di Pompei all’ombra del santuario.
Altra festa della Madonna del Rosario è il 7 ottobre, quando nel 1571 le flotte musulmane dell’Impero ottomano furono vinte da quelle cristiane dell’impero spagnolo e della Repubblica di Venezia. Si racconta che S. Pio V in estasi, guardando il cielo, quel giorno ebbe una visione di cori angelici intorno alla Beata Vergine col Bambino Gesù e in mano la corona del Rosario. Due giorni dopo un messaggero portò la notizia dell’avvenuto trionfo. Il Pontefice, che aveva ordinato in tutta la Cristianità la recita del Rosario, attribuì quel trionfo all’intercessione della Vergine, volle che nelle litanie lauretane si aggiungesse l’invocazione Auxilium christianorum e decretò che ogni prima domenica di ottobre si commemorasse Nostra Signora della Vittoria poi trasformata in «Festa del Santissimo Rosario».
Il rosario, “catena dolce che ci rannoda a Dio”
“Rosario” vuol dire ‘corona di rose’ che offriamo a Maria e che raccogliamo nel giardino del Vangelo: ogni mistero che il Rosario ci propone di contemplare è un fatto evangelico della vita di Gesù. 150 rose, quanti sono i salmi, suddivise in “tre corone”. Per questo il Rosario era anche detto “breviario degli ignoranti” e sostituiva nei conventi il salterio per chi – ai tempi non era infrequente – non sapeva leggere. Successivamente, nella lettera apostolica “Rosarium Virginis Mariae”, che quest’anno compie 20 anni, S. Giovanni Paolo II istituisce i misteri “della luce” perché non rimangano nell’ombra gli eventi della vita pubblica di Gesù.
Il Rosario è potente preghiera cristologica di intercessione che, attraverso Maria, ha consentito il superamento degli attacchi alla fede cattolica e il raggiungimento della santità per tante anime di ogni tempo. È una preghiera antichissima, la cui origine si perde tra S. Domenico di Guzman e S. Bernardo di Chiaravalle e si collega alle preghiere contemplative ripetitive spesso recitate dai pellegrini medievali, come ad esempio la preghiera “del cuore” del pellegrino russo.
Ma un impulso particolare è stato dato in età moderna ad opera beato Bartolo Longo che nel santo Rosario trovò la salvezza da una vita trascorsa, per alcuni anni, da “sacerdote di satana”.
Bartolo Longo nasceva a Latiano, nell’allora Terra d’Otranto, presso Brindisi, nel 1941 da agiata famiglia da cui ricevette tra l’altro una buona educazione cristiana. Negli anni universitari che passò a Napoli studiando Giurisprudenza si affacciò al satanismo. Ma il Signore non lo aveva abbandonato e faceva sentire in lui la nostalgia di Dio e di quella devozione mariana sepolta ma non morta. Così Bartolo, sull’orlo della disperazione incontrò un padre domenicano, Alberto Radente, sua guida in un cammino di conversione.
L’avvocato Longo era nel frattempo divenuto anche amministratore dei tantissimi beni di famiglia della contessa napoletana Marianna Fornararo, vedova De Fusco, che poi sposò (pur mantenendo voto di castità, come terziario domenicano).
Sentendosi chiamato a salvezza “coltivando e a promuovendo la devozione al Rosario”, l’avvocato pugliese utilizzò le sostanze della sua agiata famiglia originaria e di quelle della consorte per porre le basi del santuario a cui molti di noi sono legatissimi. Ma la vera preghiera spinge alla carità: fu così che accanto al santuario nacquero le opere “sociali”, per i figli dei carcerati, per gli orfani e le ragazze madri.
Se è vero che il Rosario ha permesso la fine di tanti attacchi alla fede nella vita della Chiesa lo è anche per la vita di Bartolo Longo, che fu fedele al proponimento di lasciare la Valle di Pompei solo dopo che vi fosse stato diffuso il Rosario.
Quando il Beato Bartolo Longo arrivò a Pompei, nel 1872, trovò la Valle e i suoi abitanti in condizioni estreme di povertà materiale ma soprattutto spirituale. Per mantenere la promessa fatta alla Vergine Maria di propagare il Rosario, guadagnatosi l’affetto e la stima dei contadini di Valle, decise per l’ottobre 1875 di organizzare una Missione popolare che potesse segnare profondamente il cuore dei fedeli, suscitando in loro «la speranza del perdono con la devozione a Maria e segnatamente al suo Rosario». Un quadro avrebbe permesso ai contadini di radunarsi ogni sera in chiesa per la recita del Rosario. E così, il 13 novembre, vigilia della chiusura della missione, Bartolo si mette in viaggio verso Napoli alla ricerca di una tela, senza però trovarne nessuna di suo gradimento o adeguata al suo budget.
Ma la Provvidenza fece in modo di farlo incontrare con padre Alberto Radente, che aveva donato ad una suora del Conservatorio del Rosario a Porta Medina, suor Maria Concetta De Litala, un vecchio quadro del Rosario. Bartolo, senza farselo ripetere due volte, si affrettò a raggiungere la suora per far sì che il quadro potesse arrivare in tempo a Valle, dove lo aspettavano i missionari e il popolo devoto. Ma, quando suor Maria Concetta gli mostrò il dipinto provò una stretta al cuore: «Era non solo una vecchia e logora tela, ma il viso della Madonna, parea piuttosto di un donnone ruvido e rozzo. E mancava pure sul capo della Vergine un palmo di tela; tutto il manto era screpolato e roso dal tempo e bucherellato dalla tignola, e per le screpolature erano distaccati qua e là brani di colore. Nulla è a dire della bruttezza degli altri personaggi. S. Domenico a destra sembrava, più che un Santo, un idiota da trivio; ed a sinistra era una Santa Rosa, con una faccia grassa, ruvida e volgare, come una contadina coronata di rose» (B. Longo, Storia del Santuario, 1890, pp. 111-112).
Bartolo voleva quasi desistere dal prendere la tela, ma un po’ la promessa fatta ai contadini di tornare con un’immagine, un po’ l’insistenza della suora, alla fine accettò. A questo problema se ne aggiungeva un altro: come far arrivare il quadro a Pompei? Le sue dimensioni erano eccessive sia per le ferrovie statali sia per una carrozza. Bartolo si ricordò che «uno dei capi di tutti i coloni di Valle», Angelo Tortora, era solito andare a Napoli con il suo carretto; a quell’ora probabilmente era pronto per ritornare, così lo fece chiamare e gli affidò il grande quadro. Quello che Bartolo non sapeva era che Angelo si recava spesso a Napoli per caricare il letame dalle stalle dei signori, per poi rivenderlo ai contadini che ci concimavano le campagne di Valle. «Mentre l’immagine era in cammino per la strada provinciale alla volta di Pompei sul carretto di Angelo Tortora, io correvo alla stazione ferroviaria per precedere il suo arrivo. Ma qual fu il rincrescimento che provammo, quando giunti la sera a Valle di Pompei, sapemmo che il Tortora aveva portato il quadro, non altrimenti che allogandolo al di sopra del letame, di cui aveva già caricato il suo carro!» (B. Longo, Storia del Santuario, ed. 1954, p. 82).
In questo modo, la sera del 13 novembre 1875, su un carro di letame, faceva il suo ingresso a Valle una tela brutta e puzzolente che da lì a poco sarebbe diventata la prodigiosa immagine della Vergine del Santo Rosario di Pompei, venerata e famosa in ogni angolo del mondo!
«Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior» cantava Fabrizio De André in Via del Campo. Dal momento in cui quel carrettino fece il suo ingresso a Valle, sono nati i fiori più belli e la stessa Pompei, da scenario di morte e distruzione, è diventata un giardino di grazie, un bellissimo roseto in onore di Maria, Madre di Misericordia.
Successivamente al suo arrivo a Pompei, il quadro fu sottoposto ad urgenti restauri perché così com’era «anziché devozione ispirava terrore». Il dipinto fu reso più armonico a partire dall’aggiunta della parte mancante sulla testa della Vergine; inoltre fu sostituita Santa Rosa con la domenicana Santa Caterina, speciale protettrice di Bartolo Longo. Tuttavia, anche dopo questo radicale restauro, il volto della Madonna non era migliorato sensibilmente ma non si sapeva cosa fare.
Appena rientrato il quadro a Valle di Pompei dai restauri (13/02/1876), a Napoli si registrò il primo miracolo: la dodicenne Clorinda Lucarelli, giudicata inguaribile dall’illustre dott. Carderelli, fu guarita da gravi crisi epilettiche.
Furono tanti quelli che donarono a Maria ogni tipo di gioiello che iniziò ad adornarsi come una bella signora: ad esempio, i quattro smeraldi dei signori ebrei Henry Kaminker e Jacques Sloag che, insieme ad altri brillanti, furono posti direttamente sulla tela. Questa pratica rese necessario un restauro scientifico e nel 1965 la tela fu affidata ai Padri Benedettini Olivetani di Roma. Durante i due mesi di lavoro i monaci scoprirono sotto i colori sovrapposti nei precedenti restauri, che il quadro acquistato da p. Radente per appena 8 carlini (più o meno 40€ attuali), in realtà era una tela della scuola di Luca Giordano, famoso pittore napoletano del XVII secolo.
Il quadro è associato in tutto il mondo alla Madonna di Pompei e rappresenta Maria in trono con Gesù in braccio: entrambi consegnano le corone del rosario a S. Domenico e S. Caterina. Un invito a portare il rosario nel mondo, nella storia, a cui si accede attraverso le finestre raffigurate ai lati in fondo al quadro (attraverso di esse, in alcune varianti del quadro è visibile il panorama campano con il Vesuvio). Ai piedi del trono le Sacre Scritture, a cui il Rosario attinge i suoi misteri e su cui poggia la regalità di Gesù e Maria.
Il 13 novembre di ogni anno, giorno dell’anniversario dell’arrivo a Pompei dell’Immagine della Vergine del Rosario, il Quadro viene tolto dal suo Trono e messo nell’assemblea affinché i devoti possano esprimere la loro devozione con un bacio. Sono migliaia i pellegrini che dall’alba si mettono pazientemente in fila preparandosi con la preghiera all’incontro con Maria; solo quando l’ultimo di questi ha potuto baciare la Vergine del Rosario, il Quadro, a notte fonda, viene rimesso al suo posto.
È tradizione che l’8 maggio e la prima domenica di ottobre si reciti la supplica alla Madonna di Pompei. È opera del fondatore del Santuario di Pompei, il beato Bartolo, composta nel 1883, all’indomani della pubblicazione dell’enciclica “Supremi apostolatus officio”, con la quale Papa Leone XIII indicava nella preghiera del Rosario uno strumento sicuro per il conseguimento del bene spirituale della società e della Chiesa.
Grazie alla supplica, nota in tutto il mondo e forse tra le preghiere che raggiunge i massimi livelli di lirismo e spiritualità, in quegli anni si diffuse esponenzialmente la devozione per Maria e per la pratica del rosario. È stata più volte rimaneggiata sino all’edizione oggi conosciuta. Tra le varie intenzioni la preghiera per la pace e, nella versione originaria, la preghiera per la Russia: un invito valido ancora oggi se non altro per il contenuto legato alla guerra in corso.
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