Ricorrono in questo 21 settembre gli ottant’anni dei moti materani contro l’occupazione tedesca. Erano passate appena poche settimane dalla fuga del re a Brindisi quando a Matera l’esercito di Hitler in ritirata si scontrò con l’ostilità della popolazione, esasperata dalle continue vessazioni subite dai militari tedeschi in transito e dai loro saccheggi. Quando poi due di questi militari, introdottisi in una gioielleria, pretesero la consegna di tutti gli oggetti d’oro, la popolazione insorse uccidendo i due militari. Poco dopo un ufficiale tedesco veniva accoltellato in una sala da barba del centro cittadino. Per reazione, i tedeschi assaltarono la centrale elettrica, nel tentativo di lasciare la città senza energia elettrica, uccidendo quattro civili. Ma indubbiamente l’episodio più grave fu quello di minare e fare saltare in aria il palazzo della Milizia dove persero la vita altri quindici persone.
Dovettero trascorrere però parecchi anni prima che fosse riconosciuto alla popolazione materana il merito dell’insurrezione contro il nemico tedesco. Matera, tra l’altro, fu la prima città a insorgere contro le forze di occupazione. Sarà soltanto il presidente Mattarella a conferire nel 2016 alla città di Matera la medaglia d’oro al valor civile per “atti di eroismo e di martirio per contrastare la violenza perpetrata dagli occupanti”.
Infatti, negli anni del dopoguerra il movimento di resistenza, nelle ricostruzioni storiche, veniva inizialmente circoscritto all’area di azione delle formazioni partigiane; agli atti di insurrezione nel “Regno del Sud”, come fu a Matera nel 21 settembre del ‘43, non sempre veniva riconosciuto quel carattere resistenziale che avevano.
Non si può certamente negare il contributo che queste insorgenze del sud hanno dato alla Liberazione. Non si possono dimenticare, a questo proposito, le trasmissioni di Radio Bari, “libera voce” della democrazia. Come prezioso fu il contributo del Secondo corpo d’armata polacca, i liberatori di Montecassino, che stabilirono proprio a Matera una delle loro basi. I materani hanno ancora oggi una viva memoria del passaggio dei polacchi. Che non era un esercito regolare; si trattava piuttosto di fuoriusciti, tra i quali molte donne e molti anziani, che vollero dare il loro contributo alla lotta di liberazione del fraterno popolo italiano «all’insegna del motto: “Tutti gli uomini liberi sono fratelli”» come ha scritto Luciano Garibaldi.
Resistenti furono anche i circa 700mila militari dell’esercito italiano che all’indomani dell’8 Settembre si rifiutarono di aderire alla Repubblica di Salò e quindi di confluire nell’esercito di occupazione tedesco. Il loro destino fu terribile, perché vennero deportati in massa verso i campi di internamento militare tedeschi. Nella tragedia della deportazione degli internati, molti furono i militari del meridione italiano. Furono proprio questi a subire le peggiori conseguenze. Separati dalla Linea Gotica nelle comunicazioni con le famiglie d’origine, non potevano sperare nemmeno nel recapito dei pacchi di viveri cui dipendeva la loro sopravvivenza. Bisogna ricordare anche che il cinismo tedesco privò loro del riconoscimento dello status di prigionieri di guerra e quindi dell’assistenza della Croce Rossa Internazionale.
Ovviamente, non pochi di questi internati, i cosiddetti IMI, erano di fede fascista. Nemmeno questi tradirono il “bene comune” della libertà della nazione, mettendo da parte le proprie convinzioni ideologiche e accettando anche loro di essere deportati. È questo certamente un paradosso difficile da inquadrare nella ricostruzione degli eventi, ma anche questo avvenne.
Tra gli internati vi fu anche Alessandro Natta, futuro segretario del Partito comunista italiano, che a questa terribile esperienza di deportazione dedicherà un libro e che intitolerà significativamente “L’altra resistenza”.
Perché la resistenza fu veramente un movimento di popolo che con l’idea di libertà contagiò in poco tempo tutta la nazione da nord a sud come si è visto anche nella reazione popolare materana del 21 Settembre.
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